Il tenore Luciano Ganci debutta in Tosca al Teatro dell'Opera: «Io e Cavaradossi uniti da una romanità autentica e sognatrice»

Il tenore Luciano Ganci, romano, 40 anni, è Cavaradossi al Teatro dell'Opera di Roma
di Simona Antonucci
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Giovedì 3 Novembre 2022, 13:47 - Ultimo aggiornamento: 15:07

«Diciamo che non è stato un amore a prima vista. Avevo un posto fisso a Terna e un mutuo da pagare. Certo, la musica, il canto lirico mi intrigavano, da piccolo ero una voce bianca del coro della Cappella Sistina e poi organista. Ho suonato anche per la veglia funebre di Papa Giovanni Paolo II. Ma non mi fidavo di intraprendere questa carriera artistica. Perché l’ingegnere lo puoi fare tutta la vita, il tenore no. E così mi sono fatto corteggiare per un bel po’, prima di lasciarmi andare, anzi prima di lasciare andare un lavoro sicuro».

Nel 2007, Luciano Ganci, 40 anni, romano «di Piramide», vince il concorso Operalia (secondo posto) di Placido Domingo, chiede un’aspettativa all’azienda e finalmente si butta: canta alla Scala di Milano, all’Accademia di Santa Cecilia di Roma, al San Carlo di Napoli, all’Arena di Verona, al Comunale di Bologna, al Massimo di Palermo, al Maggio Musicale, Festival Verdi di Parma, al Festival Puccini di Torre del Lago, Festival della Valle d’Itria, e oggi (replica sabato 5 novembre) debutta al Teatro dell’Opera nella Tosca storica del 1900, quella che vide Puccini al debutto al Costanzi «in un ruolo romano, Cavaradossi».

Ha cantato Cavaradossi ovunque, come mai a Roma soltanto ora?

«Non mi faccio questa domanda. Preferisco vivermi la gioia di cantare nella mia città questo titolo. Non sono tanti i tenori romani che hanno interpretato il romano Cavaradossi, qui all’Opera di Roma».

E non sono tanti i tenori che prima di dedicarsi alla lirica hanno suonato l’organo per un Papa, il pianoforte nei matrimoni, hanno fatti i doppiatori per Disney, la comparsa nel “Caimano” di Moretti e gli ingegneri...

«Tutte esperienze che non rinnego. E mi hanno insegnato a stare sempre con i piedi per terra. Ora ho quarant’anni, canto in Italia e all’estero e ho i nervi a posto. Prima, forse, non ero psicologicamente pronto per le tensioni cui ti sottopone questo lavoro».

Tecnica, talento, tenacia: che cosa l’ha aiutata?

«Un esempio preso dal campo di calcio.

Oggi la preparazione al canto è molto più scientifica di un tempo: fisioterapia, postura, tecniche vocali... Ma quando Totti segnava un gol all’incrocio dei pali, erano il talento e l’anima a guidarlo. Non a caso era romano».

C’è un talento “made in Roma”?

«Io applico la romanità sempre. Minimo sforzo, massimo rendimento».

E ora, con la sua romanità veste i panni di un romano, Cavaradossi. Si sente vicino a questo personaggio?

«C’è tanto Luciano Ganci nel personaggio, anche se io non “so’ bono” a dipingere. Condividiamo gli stessi valori, il mettersi a disposizione di chi ha bisogno, il fervore per un ideale: è ardente, ma non “ar dente” come la pasta. È spontaneo, si butta in una battaglia persa. Lui sa che morirà, ma nasconde la realtà a Tosca, un po come fece Benigni in “La vita è bella” che per non impaurire il figlio gli fece credere che avrebbero vinto un carrarmato».

Che uomo è?

«Un uomo autentico. Prova a combattere contro Scarpia, ma è un confronto impari. Poteri troppo forti. Un trasteverino gli direbbe: ma lascia perde’ che siete in due contro un esercito... Diciamo che manca di adesione alla realtà. È un artista, un sognatore, ma quasi tutti i ruoli da tenore sono così».

Così, come?

«Manrico nel Trovatore, Rodolfo in La bohème, Andrea Chénier, buttano il cuore oltre l’ostacolo e il cervello...».

Dall’esperienza di pianista per matrimoni che cosa ha portato nel mondo della lirica?

«Offrire prestazioni sempre diverse. Quando suonavo per gli sposi dovevo dare il meglio per il giorno più importante della loro vita. Interpretando la situazione. E così è in scena: a seconda del pubblico, mai una replica uguale all’altra».

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