Avrebbe dovuto esserci un parco attrezzato, in quest'ansa del Tevere che curva dopo l'Eur e la Magliana, a una manciata di chilometri dal traffico del Raccordo anulare. Così diceva il Piano regolatore di Roma. Eppure qualcuno ha pensato che proprio qui, in questo polmone verde dell'Urbe, avrebbe dovuto mettere radici una colossale operazione calcistico-immobiliare, germogliata attorno al progetto del nuovo stadio giallorosso. Si erano opposti i grillini, prima, quando erano all'opposizione di Ignazio Marino, e poi per tutta la campagna elettorale del 2016, quella della scalata al Campidoglio di Virginia Raggi.
Fino al clamoroso rovescio che ha portato i pentastellati, una volta maggioranza, a votare a favore del progetto in Aula Giulio Cesare, nel 2017, sforbiciando solo un po' le cubature monstre, che però rimangono ancora oggi ampiamente sopra il tetto fissato dal Piano regolatore.
I dubbi, i pericoli, le opacità dell'operazione Tor di Valle le abbiamo raccontate su queste colonne fin dal luglio del 2014, quando Parnasi si presentò a Palazzo Senatorio con un progetto in cui lo stadio rappresentava appena il 14% delle cubature. Tutto il resto era destinato a negozi, uffici, alberghi e ristoranti. Una colata di cemento da quasi un milione di metri cubi, tre volte tanto rispetto al Prg. L'«Ecomostro», lo hanno subito ribattezzato le principali organizzazioni ambientaliste del Paese, e con loro ingegneri e architetti di fama. Il vero core business di un'iniziativa che a tanti, compresi gli esperti dell'Istituto nazionale di urbanistica, appariva come una «gigantesca speculazione a favore dei privati».
Raggi, stringendo la mano ai privati nel febbraio 2017, ha dimezzato o quasi le volumetrie, che sono rimaste comunque largamente sopra i margini imposti dal piano regolatore. Soprattutto, il taglio dei grattacieli - sostituiti da un serpentone di palazzine alte fino a 7 piani - ha prodotto una sforbiciata netta alle infrastrutture che avrebbero dovuto pagare i privati. Sparito il prolungamento della metro B, ridotti gli interventi sulle strade, depennato, perché senza finanziamenti, il nuovo ponte, ribattezzato pomposamente di Traiano, che avrebbero dovuto pagare per intero i proponenti. Gli stessi tecnici che a dicembre hanno dato il via libera in conferenza dei servizi avevano messo tutti in allarme: senza ponte, il traffico in questo quadrante di Roma già oggi con l'imbottigliamento facile, sarebbe impazzito. A Parnasi e ai suoi sodali non importava.
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