Simona, inchiesta sullo stupro rimasto segreto: gli inquirenti scavano nella sua vita privata

Simona, inchiesta sullo stupro rimasto segreto: gli inquirenti scavano nella sua vita privata
di Raffaella Troili
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Sabato 9 Novembre 2013, 08:24 - Ultimo aggiornamento: 15:14

ROMA - Fuggiva Simona, da un incubo che la inseguiva, dalla Calabria a Roma, ovunque, da un ricordo che l’aveva gi un po’ uccisa tante volte.

E che appariva soprattutto quando incontrava altri uomini «sbagliati e violenti». Per quel trauma era stata in cura, piombata più volte in fondo alla depressione e all’anoressia: forse una violenza c’era stata tanti anni fa in ambito familiare, quando era molto più piccola, da parte di una persona a lei vicina.

Era di quell’abuso che forse parlava quando in fin di vita il 30 ottobre ha risposto alle domande del personale del 118 che l’ha soccorsa. Simona Riso, 28 anni, era precipitata dal terrazzo della palazzina in via Urbisaglia dove viveva, alle 6,30 più d’un testimone ha sentito un tonfo, alle sette una vicina si è accorta di lei, alle dieci è morta al San Giovanni: non è stata violentata accertano nel box ginecologico, invece ha il bacino rotto e una costola le ha perforato la pleura.

Le indagini della procura - che cerca di stabilire se si sia trattato di suicidio, di incidente o di omicidio - si concentrano ora sulla vita personale della giovane, su quel tremendo episodio del passato che forse era noto a qualcuno in famiglia e soprattutto ai medici che l’avevano avuta in cura.

RICOSTRUIRE IL PASSATO

Il pm Attilio Pisani e il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani hanno chiesto a chi collabora alle indagini di ricostruire il passato psichiatrico-terapeutico della giovane e valutare se i suoi problemi fossero legati a un trauma lontano e maturato in ambienti a lei vicini. Forse un trauma da abuso sessuale subito da una persona «vicina» che l’aveva portata ad atti di autolesionismo e ad essere seguita da diversi specialisti.

Specialisti che si trincerano dietro il segreto professionale parlano genericamente di «violenze domestiche», nascoste e frequenti, sotterrate e negate, specie nei piccoli centri. Quell’antico trauma Simona Riso l’aveva raccontato durante alcune sedute familiari convocate nel 2011 per provare a creare intorno a lei una rete di sicurezza che le permettesse di provare a superare quel ricordo e così anche le varie dipendenze con cui cercava di annientarlo rendendosi ancor più fragile e non autonoma. La ricostruzione forse spiegherebbe la progressiva disperazione di Simona, fino al suicidio o alla caduta accidentale, magari favorita dall'assunzione di una dose eccessiva di antidepressivi o di alcol. A giorni saranno pronti gli esami tossicologici.

Il 30 ottobre Simona sta fino alle due di notte a mandare messaggi agli amici; dopo le 5,30 riceve due telefonate dalla madre, che era solita svegliarla (alle sette doveva essere al lavoro), parla anche con il padre. Saluta, esce dalla casa al seminterrato, sale in terrazzo, forse ha bisogno di un momento di solitudine, forse vuole fumare in pace. Cosa succede lassù, se è in compagnia o da sola, se si getta, oppure viene aggredita e spinta come crede l’avvocato Sebastiano Russo che assiste la famiglia, o se semplicemente cade involontariamente, resta un mistero. Anche il legale ora però intende capire cosa c’è di vero su questo passato doloroso di Simona, ha già chiesto un incontro ai suoi terapeuti, «anche perché la famiglia non ne sapeva nulla e non è detto che potesse sapere quel che Simona confessava a uno psichiatra». Amici e conoscenti sono stati nuovamente ascoltati dai carabinieri, ma non sarebbero emersi elementi utili alle indagini. Hanno ripetuto che «soffriva di depressione, era in cura e molto stanca, ma non dava l’impressione di stare male». Se Simona fosse in crisi quella notte o fosse agitata, forse potrebbe emergere recuperando il contenuto delle conversazioni su Whatsapp.

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