Roma, titolare Mas condannata per bancarotta: tre anni a Rachele Valente

Roma, titolare Mas condannata per bancarotta: tre anni a Rachele Valente
di Adelaide Pierucci
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Lunedì 11 Maggio 2015, 06:49 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 08:10
Da trent'anni veste suore e trans, costumisti e immigrati, romani chic, famiglie squattrinate e turisti di passaggio, tanto da travalicare il mito del magazzino del popolo e diventare una delle centouno cose da fare (da visitare) almeno una volta nella vita a Roma. Questo il volto di Mas visto dai romani e anche dai cineasti, dato che gli è stato dedicato un documentario. Poi ne è emerso un altro. Una storia di una colossale bancarotta, ricostruita dalla procura di Roma, che ha appena portato alla condanna a tre anni per la moglie di Giovanni Pezone, il geniale commerciante (scomparso da poco) antesignano degli outlet che reinventò l'elegante magazzino inaugurato un secolo fa per trasformarlo, negli anni Novanta, in un inimitabile melting pot dell'abbigliamento: Mas, acronimo di Magazzini allo Statuto (in via dello Statuto, vetrina di piazza Vittorio).

Per la vedova Pezone, Rachele Valente, per anni amministratrice del mitico marchio, l'accusa di aver partecipato a una bancarotta che a catena avrebbe lasciato sul lastrico lavoratori e fornitori. Le stesse accuse erano state rivolte ai figli (allora soci dell'azienda) Domenico, Antonietta e Chiara Pezone, attuali gestori dell'attività, che, assistiti dagli avvocati Cesare Placanica e Massimo Lauro, sono stati però assolti con formula piena, uscendo a testa alta dallo scandalo. Il pm aveva chiesto anche per loro 5 anni di carcere.

LA VICENDA

Ma la storia giudiziaria parte da lontano. Tra il 1987 e il 1989, quando Rachele Valente e il marito «acquistavano con due società la Edil Rossi sas (dichiarata fallita poi nel 2002) e la Piavem di Torri Salvatore sas (fallita nel 1997) praticamente l'intero stabile sito tra via Pellegrino Rossi, via dello Statuto e piazza Vittorio, ove nei piani più bassi era svolta l'attività commerciale della storica ditta Mas, mentre gli appartamenti ai piani superiori venivano destinati ad abitazione dei componenti del nucleo familiare dei Pezone, mediante l'accensione di mutui fondiari per 11,5 miliardi di lire con la Bnl dei quali non pagavano nemmeno la prima rata».

Gli stessi, poi «costituivano nel 1989 la Mas srl che assumeva la gestione dell'attività e che, modificata nella denominazione di Linus srl nel 1999, veniva dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Roma nel 2001 con una serie di atti e l'intervento di società, perseguivano l'intento di mantenere il possesso degli immobili e dell'azienda senza pagare alcun corrispettivo». Col risultato, si precisa, di «accumulare utili di ammontare non precisato lasciando accumulare debiti verso fornitori e enti impositori». Questo il quadro iniziale della procura. Che poi fa luce sul passaggio del patrimonio nel 1992 a una società amministrata dal nipote della signora Valente per il corrispettivo di 14,5 miliardi per l'accollo del mutuo «dichiarato pagato prima del contratto ciò che rendeva più difficoltosa l'azione esecutiva del creditore insoddisfatto, la Bnl». Tant'è che passano 5 anni e il ramo d'azienda, ossia Mas, viene ceduta ai tre fratelli Pezone - che a detta dell'accusa, poi caduta - per un paio d'anni hanno cominciato a vendere fino al sottocosto per ridurre il valore delle immobilizzazioni e del magazzino da 11 miliardi a 612 milioni di lire. Mas intanto, al di là degli annunci di chiusura, è sempre aperto, domenica inclusa.