Roma, dimentica pinza di 30 cm nella pancia di una paziente: chirurgo sotto accusa

Roma, dimentica pinza di 30 cm nella pancia di una paziente: chirurgo sotto accusa
di Michela Allegri
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Lunedì 15 Giugno 2015, 05:59 - Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 15:26

Un'equipe medica d'eccellenza che opera una paziente, ricoverata in uno dei più importanti ospedali romani. E, ad intervento finito, dimentica nell'addome della degente una pinza lunga quasi 30 centimetri. Vittima del macroscopico errore sanitario è Maria Teresa S., 65 anni, finita al San Camillo Forlanini per un problema al colon. Si è affidata all'esperienza della squadra guidata dall'ex primario del reparto di Chirurgia d'urgenza, Donato Antonellis. Ma si è ritrovata con un attrezzo metallico incastrato nella pancia, ed è dovuta tornare una seconda volta sotto i ferri. Poi, ha sporto denuncia, inchiodando sul banco degli imputati, con l'accusa di lesioni colpose, Antonellis, già finito nel mirino degli inquirenti in passato per altre vicende giudiziarie, e altri 4 camici bianchi. Secondo quanto ricostruito dal pubblico ministero Attilio Pisani, che ha disposto il rinvio a giudizio dei dottori e che sostiene l'accusa nel processo arrivato in piena fase dibattimentale, i medici sarebbero colpevoli in particolare di «imprudenza - come si legge nel capo d'imputazione - per non aver controllato con la massima cura il numero degli strumenti utilizzati per l'esecuzione del primo intervento».

L'OPERAZIONE I fatti risalgono al 17 luglio del 2011. Maria Teresa viene ricoverata al San Camillo, ha una diverticolite e deve subire un'emicolectomia, un intervento chirurgico che consiste nell'asportazione di una metà del colon. L'operazione è diretta da Antonellis, che viene affiancato da un aiuto chirurgo, uno strumentista e due infermieri. In sala operatoria lavorano cinque persone, e nessuno si accorge che il medico dimentica una pinza di tipo "Kelly", lunga quasi 30 centimetri, all'interno dell'addome della paziente.

Anzi: l'intervento sembra riuscito con successo, tanto che Maria Teresa esce dalla sala operatoria e viene dimessa. Nei giorni successivi, però, la sessantenne ha dolori lancinanti alla pancia, non riesce nemmeno a reggersi in piedi, e chiede ai figli di accompagnarla in ospedale. Al pronto soccorso, i medici le diagnosticano un'occlusione intestinale che potrebbe essere una conseguenza, prevedibile, dell'emicolectomia appena effettuata.

Per sicurezza, però, dispongono ulteriori accertamenti. È una radiografia a svelare il problema: i sanitari, esterrefatti, vedono con chiarezza che nell'addome della donna è incastrato un corpo metallico, che ha la forma di un attrezzo chirurgico. Maria Teresa finisce di nuovo sotto i ferri: viene sottoposta con successo ad un secondo intervento effettuato d'urgenza. Dopo essere uscita dall'ospedale, la paziente decide di sporgere denuncia.

LESIONI Scatta un'inchiesta, i medici vengono iscritti sul registro degli indagati per aver cagionato alla donna «lesioni personali giudicate guaribili in un tempo non superiore a 40 giorni» scrive il pm Pisani nel capo d'imputazione. Secondo l'accusa, tutti i componenti dell'equipe sarebbero responsabili dell'incidente, a partire dal chirurgo fino ad arrivare allo strumentista e agli infermieri. Il gip, poi, in sede d'udienza preliminare, dispone il rinvio a giudizio e i camici bianchi finiscono a processo.

Nello specifico, sostengono gli inquirenti, gli imputati avrebbero contribuito «a cagionare alla paziente le lesioni in questione, consistite nell'insorgenza di un'occlusione intestinale secondaria all'abbandono nella cavità addominale di un paio di pinze chirurgiche che imponeva l'esecuzione di un nuovo intervento di chirurgia finalizzato alla rimozione del corpo estraneo». All'epoca dei fatti, Antonellis ha dichiarato: «Sono cose che purtroppo capitano anche se non dovrebbero mai accadere. C'è stato un errore, che è stato però rimediato in maniera brillantissima».