Gli errori senza fine/ Vecchi riti bizantini nella Roma che affonda

di Massimo Martinelli
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Giovedì 9 Febbraio 2017, 00:15
Una al giorno, ma non c’è nulla da ridere. È di Roma che parliamo, e del suo governo. Dell’impossibilità ormai cronica della giunta Raggi di occuparsi dei problemi capitali (anche in riferimento ai caratteri cubitali con cui questi ormai sono impressi nella memoria e nella coscienza dei romani) presa com’è dalla straordinaria amministrazione del risolvere ordinarie beghe che per imperizia hanno assunto proporzioni fuori dal comune. Proprio come le emergenze man mano ingigantite e su cui pattiniamo in attesa di soluzioni che non arrivano.

La vicenda Berdini, poi, ha del grottesco. Il suo sfogo sull’impreparazione della sindaca Raggi e sul suo essere attorniata da una banda, nonché i particolari sulla presunta love story con Romeo, in un mondo normale comporterebbe una sola conseguenza: le dimissioni dell’assessore che non potrebbe restare un minuto di più al suo posto per manifesta incompatibilità. Del resto, due elementi dimostrano la gravità e non aggirabilità del macigno. 

E la stessa formula con cui la Raggi respinge con riserva le dimissioni del suo stretto collaboratore contiene un bizantinismo demodé: neppure nella Prima Repubblica del politichese avrebbero osato tanto. Qui siamo a formule sofisticate per questioni di evidente matrice dilettantesca. Ma reggeranno? Davanti alla smoking gun, la pistola fumante - cioè il nastro che conferma le parole dell’assessore - appare difficile che le cose possano essere liquidate così senza produrre conseguenze più drastiche.

Ma forse c’è una ragione più nascosta e frutto di un calcolo costellato di furbizie dietro il minuetto delle dimissioni respinte del loquace assessore. Noto per Le sue posizioni barricadere in passato, emblema dell’aggancio che M5S ha cercato a Roma con un certo mondo gruppettaro dell’intellighenzia di sinistra, Berdini si è distinto più volte per essere la voce critica della giunta e per una fama meritata sul campo di assessore stadista vista la sua determinazione iniziale nel voler realizzare il controverso stadio della Roma a Tor di Valle.

Poi sulla sua strada l’inquieto urbanista (la cui linea è riassumibile in: stadio sì, Ecomostro no) si è imbattuto in un’ala ancora più stadista articolata tra i grillini e i vertici della giunta, quella stessa ala che volendo far dimenticare il perentorio no ai Giochi di Roma 2024 (e la cappa di guai e di delusione che grava sulla giunta), ha cercato una rigenerazione facendo baluginare un sì al nutrito popolo di tifosi romanisti. Con una palese controindicazione: il calpestare coerenza e rigore con cui ormai tre anni or sono, quando sedevano sui banchi dell’opposizione, i cinquestelle si espressero nel documento (che oggi riportiamo nelle pagine interne) con cui bocciavano sonoramente il progetto Tor di Valle. 

Oggi Berdini si è ritrovato, vaso di coccio tra vasi di ferro, in piena resa dei conti tra le fazioni interne al movimento, con la consapevolezza che un compromesso finale che porti la sua firma rappresenterebbe una ambita foglia di fico per coprire l’eventuale svolta lassista sgradita ai duri e puri del movimento. Insomma, se resta al suo posto, può ancora tornare utile per un pezzo (quanto lungo?) di strada. Dopo, liberi tutti.
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