Rieti, Mensa di Santa Chiara: «Accogliere è l’unico spirito che ci muove»

La Mensa di Santa Chiara
di Sabrina Vecchi
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Domenica 17 Dicembre 2023, 00:10

RIETI - È quasi ora di cena alla Mensa di Santa Chiara. Come sempre, i volontari sono ai fornelli per mettere in tavola un pasto caldo nutriente, consono alla dispensa e attento alle esigenze di tutti. Che non serva solo a riempire la pancia, ma anche a far sentire accolte le persone che arrivano, come si fa con un amico. Ogni, sera, nei nuovi locali allestiti nel grande complesso dell’ex seminario di piazza Oberdan, si apparecchia di base per quaranta coperti, anche se i pasti possono arrivare a numeri molto più alti e, nell’ultimo periodo, la crescita è costante. «Capita che arrivino dei pellegrini, oppure studenti fuori sede, di solito stranieri, o persone non previste rispetto al solito, ma per noi non ci sono problemi - dicono i volontari - nessuno andrà mai via di qui senza aver mangiato». 
Francesca Ferroni ha 55 anni, ha vissuto la storia della Mensa praticamente dal suo inizio, senza mai smettere di dare una mano: «Ci si sente meglio con sé stessi facendo star meglio gli altri». Ogni sera nei feriali, a pranzo di domenica e nei festivi, si mette in tavola un primo, un secondo, un contorno e spesso anche un dessert. A nessuno viene richiesto nulla, si apre semplicemente la porta. «L’accoglienza è l’unico spirito che ci muove, non chiediamo niente sulla condizione di ciascuno, non è quello il nostro compito, se non far sentire tutti benvoluti», spiega Monica Mancini, volontaria dal 2010. «I pasti variano secondo le derrate, ci sosteniamo con gli aiuti economici che ci vengono dati, non solo da enti e realtà associative, ma anche dai cittadini. La città risponde bene, i reatini che ci aiutano sono davvero tanti».

I turni. I gruppi di volontari vengono divisi in turni di cucina, ciascuno in base alla propria disponibilità: «Non siamo mai meno di cinque per turno, tutti intercambiabili», spiega Roberto Fiocco, che di mestiere fa l’impiegato e in Mensa è noto per il suo talento ai fornelli. «Alle 15 iniziamo a cucinare, teniamo conto del menù settimanale in modo da offrire varietà e stagionalità. Gli ospiti sono circa per metà musulmani, siamo attrezzati per le loro esigenze religiose come per le intolleranze o per i gusti di ciascuno». I volontari della Mensa sono ad oggi circa 170, ma il numero è in aumento, considerando domanda crescente e le esigenze dei nuovi locali, molto più capienti dei precedenti. 
«In trenta stanno attualmente facendo il corso obbligatorio per operare nel settore alimentare - spiega Francesca - tra i nuovi volontari ci sono anche alcuni nostri familiari, vuol dire che il messaggio è passato».

Ennio Barbante ha 76 anni, è una memoria storica di questo posto: «Potrei raccontarne tante. Ricordo una vecchietta che veniva ogni sera nella sede di via San Francesco: aveva la sua pensione, non versava in condizioni di indigenza, ma era sola. Pur di non gravare su di noi si portava il cibo da casa, ma aveva bisogno di stare in compagnia. Un’altra volta, in vacanza a Malta, incontrai un extracomunitario che era stato nostro ospite: si commosse e volle offrirmi il caffè».

Il pranzo di Natale. Il Natale è alle porte, e la Mensa di Santa Chiara si prepara ad offrire un pasto consono alle feste: «Per quanto possibile siamo attenti alle tradizioni, prepareremo lasagne e fettuccine, le lenticchie per Capodanno». «Lavoriamo in allegria e sono nate belle amicizie - spiega Monica - cerchiamo di far sentire tutti a proprio agio. È capitato che entrassero persone conosciute che stavano vivendo un momento difficile, avevano pudore. Sta a noi farli accomodare nel migliore dei modi, con il sorriso». In Mensa è possibile anche farsi la doccia, ma capita che si chieda anche una coperta, un capo di vestiario: «Conosciamo nomi e storie di tutti, alcuni dormono in strada, si facevano la doccia vestiti, per lavare anche gli abiti. Ora gli facciamo trovare indumenti nuovi e puliti. Capita che si alzino e ci aiutino a sparecchiare o pulire, come segno di riconoscenza». Le porzioni sono sempre abbondanti, perché il motto qui è non avanzare nulla: «Non si spreca e non si butta - dice Roberto - cuociamo quattro chili di pasta a sera, poi passiamo ai tavoli per bis e tris. Se arrivano altre persone cuociamo altra pasta o quello che c’è. È capitato che avessimo a disposizione tantissimo pane, abbiamo preparato la pappa al pomodoro: è scattato l’applauso per quanto è piaciuta!». 
In questo periodo particolarmente freddo, vanno molto le zuppe e le minestre, con le conseguenze relative al vettovagliamento: «Avremmo tanto bisogno di una lavastoviglie, ci auguriamo che anche in questo caso la generosità dei reatini si faccia avanti». Tutti i volontari hanno gli occhi lucidi, quando si chiede cosa porti questo impegno nella propria vita. Francesca risponde con un esempio: «Un ragazzo ha avuto un malessere prima di mettersi a tavola. Tra una portata e l’altra sono andata a chiedergli come si sentisse. Mi ha abbracciata e ringraziata, si è commosso. Nessuno prima di allora gli aveva detto un semplice come stai».

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