«Senza voler entrare nel merito del compito e della persona, considero Francesco un uomo che interpreta al meglio le esigenze di un comportamento progressista verso la società. È chiaro che non è un’etichetta che gli si può appiccicare sopra, perché il Papa è il Papa e basta» spiega l’ex ministro che dimostra di apprezzare molto l’equidistanza di Bergoglio dai politici italiani. «La sua distanza dalla politica italiana è un elemento di rara intelligenza, perché nel nostro passato c’è stato un eccesso di rapporti. Negli anni Sessanta, quando facevo le mie battaglie politiche in Sardegna, il capo della Dc era un prete. Un mio caro compagno ha avuto un figlio e ha chiesto al parroco che io fossi il padrino, ma il parroco glielo ha impedito. Guai ad aprire! Era un altro mondo e, se tu come Chiesa ti leghi a un partito, è la fine. Certo la Dc ha avuto, però, il grande merito di tenere unita l’Italia all’Europa...» Che i politici italiani abbiano da imparare dal Papa argentino, a suo parere, è fuori discussione. «Egli è un maestro, un educatore. Ci sta insegnando moltissimo. La sua figura conta, perché lui è profondamente laico, essendo profondamente religioso. Ha una fede enorme, lo si vede quando prega, ma affronta i temi con grande laicità, che è la negazione della bigotteria. Non è irretito negli schemi precostituiti; di ogni cosa tira fuori un aspetto nuovo, fino al terreno più delicato, che è quello dei diritti».
Anzi, di più. «È un grandissimo politico, ma non un politicante che va in giro a cercare voti. L’abilità politica consiste innanzitutto nel comunicare con la sua lingua, comprensibile a tutti, nel sapere bene dove vuole arrivare e nell’avere obiettivi di innovazione, là dove è necessario (…) La sua abilità sta nella capacità di mediazione, che non significa compromesso. La morale rigorista condanna la mediazione come compromesso. È sbagliato, perché le due cose non coincidono. Non c’è nulla di vero. E' un manuale vivente di come deve essere un politico».
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