Roma, all'origine del caos-stipendi l’autogol del referendum di marzo

Il prefetto Francesco Paolo Tronca
di Simone Canettieri e Lorenzo De Cicco
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Domenica 10 Gennaio 2016, 01:07 - Ultimo aggiornamento: 09:16

Se c’è stato un momento da "sliding doors", che forse avrebbe potuto salvare i salari accessori dalla scure del Mef, i dipendenti comunali di Roma lo hanno vissuto lo scorso 25 marzo, quando sono stati chiamati a votare l’accordo faticosamente raggiunto dalla giunta Marino con Cisl e Cgil. Un provvedimento che, dopo un’estenuante trattativa con i sindacati, spazzava via le indennità extra dello stipendio che prima venivano distribuite a pioggia, senza nessuna verifica sulla reale produttività dei dipendenti, e che le agganciava invece al merito effettivo. Quel giorno però vigili, impiegati e insegnanti comunali commisero un vero e proprio harakiri: referendum bocciato, non solo tornò in vigore l’atto unilaterale varato da Marino nel 2014 (un primo tentativo di riforma, più duro rispetto a quello siglato dai sindacati) ma soprattutto il nuovo piano di erogazione dei bonus perse la firma dei due sindacati confederali. Un particolare che, nelle considerazioni del Mef e dell’Aran (l’agenzia per la rappresentanza negoziale tra le pubbliche amministrazioni, che fa capo a Palazzo Chigi) alla fine ha comunque contribuito a indebolire la riforma. Fino alla bocciatura dello scorso giugno, che ora ha portato al congelamento dei fondi per pagare gli stipendi accessori di gennaio e febbraio ai 23mila lavoratori comunali della Capitale.
 
GETTONI D’ORO
Ma la grande falla nasce da lontano. Dalla fine degli anni ’90, quando le buste paga dei comunali hanno iniziato a infoltirsi attraverso una serie di bonus che, in teoria, avrebbero dovuto retribuire prestazioni aggiuntive ma che, in realtà, venivano liquidate di default. Spesso con giustificazioni quantomeno bizzarre: i vigili urbani intascavano un gettone per «tenere pulita la divisa» e un altro per i «turni notturni» che in realtà iniziavano alle 5 del pomeriggio. L’insieme di queste indennità alla fine è arrivato a “pareggiare” la parte fissa dello stipendio. Un unicum, a livello nazionale: a Milano e Bari, per fare due esempi, la quota fissa supera il 65% del salario.

L’ISPEZIONE
A scoperchiare il vaso di Pandora fu l'allora sindaco Ignazio Marino che, appena approdato a Palazzo Senatorio, nel 2013, chiese al ministero dell'Economia un’ispezione che portò alla bocciatura drastica dei «salari a pioggia», costringendo il Comune a votare in tutta fretta una riforma che agganciasse la parte variabile dello stipendio al rendimento dei lavoratori. Ma anche il nuovo testo, approvato nell’estate del 2014 e tutt’ora in vigore, è finito nel mirino dei tecnici della Ragioneria generale: molti premi infatti vengono distribuiti soltanto perché i dipendenti hanno cambiato orario di servizio (lavorando il pomeriggio al posto della mattina, o di notte e nei giorni festivi), ma senza costruire dei veri progetti di produttività collegati a risultati concreti (e soprattutto dimostrabili) da parte dei dipendenti. Che ora rischiano di ritrovarsi con le buste paga dimezzate.

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