Palmira, ora una task force mondiale

di Paolo Matthiae
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Martedì 29 Marzo 2016, 00:22
È finito un incubo terribile, durato quasi un anno. Un anno di disperazione per le gravissime perdite subite dal patrimonio artistico mondiale.

Un patrimonio colpito a morte da distruzioni intenzionali di straordinarie opere architettoniche e artistiche di quella gemma del mondo antico che è sempre stata Palmira, la regina del deserto, ammaliante complesso di rovine dei primi secoli della nostra èra. Palmira è stata liberata dal brutale dominio delle bande nere dell’Isis/Daesh ad opera di un’energica azione dell’esercito regolare della Repubblica Araba Siriana dopo un’aspra battaglia durata diversi giorni.
L’impegno ad evitare in ogni modo nuovi danni alla città antica ha rallentato l’iniziativa militare, ma ha dato i suoi frutti, perché non risultano, dalle prime ispezioni sul terreno e dalle riprese fotografiche aeree, nuove ferite al preziosissimo tessuto urbano della città conquistata tanti secoli fa dalle legioni di Aureliano senza apportare distruzioni sostanziali all’antica alleata di Roma.

 
Le rovinose esplosioni provocate dall’Isis/Daesh in questi mesi angosciosi hanno distrutto il piccolo Tempio di Baalshamin (un tempo quasi intatto), l’edificio di culto, solo in parte diroccato, del grande santuario di Bel, altissima testimonianza dell’architettura d’Oriente del primo secolo della nostra èra, E diversi degli originalissimi sepolcri a torre della Valle delle Tombe. Hanno poi danneggiato solo in parte settori del lunghissimo colonnato e dell’arco trionfale, mentre in alcune tombe aperte al pubblico con buona parte della raffinatissima scultura funeraria della città sono stati compiuti saccheggi radicali per rivendere sul mercato antiquario mondiale quelle uniche testimonianze di un’arte che è il prezioso risultato dell’incontro tra diverse culture artistiche d’Occidente e Oriente.
Ora, tuttavia, comincia un tempo difficile, il tempo della definizione puntuale delle perdite, dei progetti degli interventi di restauro, dell’impegno nelle ricostruzioni filologicamente corrette, del contrasto alle inevitabili speculazioni, della nuova tutela di beni brutalmente feriti, della valorizzazione di un patrimonio inestimabile, della ripresa delle ricerche archeologiche. Alcuni mesi fa, a Parigi, durante un convegno internazionale organizzato dall’Unesco per il salvataggio del patrimonio artistico della Siria, rimasi sgomento sentendo il direttore generale delle Antichità di Beirut, forte della tragica esperienza della quasi quindicennale guerra civile del Libano, rivolgersi al collega di Damasco con queste parole: «Hai ragione ad esser turbato dal dramma del patrimonio culturale del tuo Paese, ma ricorda che il peggio deve ancora venire: sarà il tempo della ricostruzione». 
Il tempo della ricostruzione è quello in cui la conoscenza delle opere perdute o danneggiate messa a disposizione dei responsabili del Paese sconvolto da una spietata guerra civile non può essere, come spesso è accaduto, approssimativa e l’esperienza dei metodi e delle procedure delle restituzioni di ciò che è andato perduto o si è deteriorato, degli operatori, nazionali ed internazionali, non può essere sostituita da ingenui entusiasmi solidaristici. Il rigore, in ogni senso (culturale, scientifico, artigianale), deve essere la guida per una rinascita positiva di quanto la barbarie ha demolito, deturpato, degradato.
Una grande collaborazione internazionale sotto il coordinamento dell’Unesco è l’unica via. In questa collaborazione, come è stato autorevolmente dichiarato anche recentemente da responsabili del nostro governo, l’Italia non mancherà di essere in prima linea perché le restituzioni delle opere perdute o danneggiate, dovute al popolo della 
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