Dopo il salvataggio/ Le gambe corte dell'intesa di Bruxelles

di Marco Fortis
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Giovedì 16 Luglio 2015, 23:19 - Ultimo aggiornamento: 17 Luglio, 00:10
La ricerca di una soluzione alla crisi greca tra le scombinate carte dell’economia e del diritto rimaste sui tavoli di Bruxelles rischia di essere un esercizio di pura rabdomanzia senza una forte decisione politica da parte dell’Europa. L’attuale architettura giuridica dell’euro non prevede che un debito pubblico possa essere tagliato. Su ciò si basano le resistenze della Germania e in particolare del ministro Schaeuble. Ma è altrettanto chiaro, come ha spiegato il Fondo monetario internazionale, che, con il debito assolutamente insostenibile che l’affligge, la Grecia rischia di rimanere indefinitamente un buco nero che inghiottirà un piano di salvataggio dopo l’altro. Serve una soluzione politica, senza la quale non si troverebbe nemmeno quella giuridica, per far quadrare il cerchio degli spietati numeri dell’economia.

Vediamo di capire perché. L’accordo faticosamente raggiunto sulla Grecia nella notte tra domenica e lunedì difficilmente resterà nei manuali di economia, visto che nei fatti è già superato. In ogni caso ne è sortito un comunicato di sette pagine sul cui incerto equilibrio si è trovato un frettoloso consenso in extremis dopo aver sfiorato la Grexit.[CAPOL4R-1CR]La ricerca di una soluzione alla crisi greca tra le scombinate carte dell’economia e del diritto rimaste sui tavoli di Bruxelles rischia di essere un esercizio di pura rabdomanzia senza una forte decisione politica da parte dell’Europa. L’attuale architettura giuridica dell’euro non prevede che un debito pubblico possa essere tagliato. Su ciò si basano le resistenze della Germania e in particolare del ministro Schaeuble. Ma è altrettanto chiaro, come ha spiegato il Fondo monetario internazionale, che, con il debito assolutamente insostenibile che l’affligge, la Grecia rischia di rimanere indefinitamente un buco nero che inghiottirà un piano di salvataggio dopo l’altro. Serve una soluzione politica, senza la quale non si troverebbe nemmeno quella giuridica, per far quadrare il cerchio degli spietati numeri dell’economia.

Vediamo di capire perché. L’accordo faticosamente raggiunto sulla Grecia nella notte tra domenica e lunedì difficilmente resterà nei manuali di economia, visto che nei fatti è già superato. In ogni caso ne è sortito un comunicato di sette pagine sul cui incerto equilibrio si è trovato un frettoloso consenso in extremis dopo aver sfiorato la Grexit.

Ipotesi, quella della Grexit, scongiurata per ammissione dello stesso Tsipras grazie all’appoggio decisivo di Francia, Italia e Cipro, con il resto dell’Eurozona allineato sulle posizioni dell’intransigente Germania. E, molto probabilmente, senza il sostegno dell’Italia, la Francia da sola non avrebbe avuto abbastanza peso per pareggiare la bilancia della partita. Di fatto, la “Grexit” per il momento è stata scongiurata. Il Parlamento greco ha approvato le linee essenziali di riforme previste dall’accordo, con il premier Tsipras che ha perso uomini e voti a sinistra del suo partito ma che sull’accordo stesso ha messo la faccia. Così l’Eurogruppo ieri ha dato l’ok al prestito ponte per i fabbisogni finanziari immediati di Atene e al terzo piano di salvataggio di 82-86 miliardi di euro. Mentre la Bce ha riaperto i rubinetti della liquidità verso le banche greche ormai in asfissia. Siamo dunque passati da un serio rischio di “Grexit” a tempo, come progettato dai tedeschi, ad una situazione in cui alla Grecia è stato dato ancora del tempo per cercare di rimanere nella moneta unica. Ma i problemi restano tutti sul tappeto perché la dose di politica messa in campo dall’Europa è stata ancora molto scarsa. E fintanto che il travagliato scenario della Grecia sarà visto solo con le lenti dell’economia esso continuerà a rimanere sfocato e la soluzione impossibile, come in certe equazioni. Infatti, come abbiamo già scritto, quando un debito pubblico estero di un Paese con una debole economia reale e senza una adeguata ricchezza privata come quella greca è pari a quasi il 150% del Pil, da un punto di vista strettamente economico l’equazione è chiaramente impossibile. Si aggiunga che già a poche ore dalla firma sui contenuti economici del nuovo piano di salvataggio in molti hanno sollevato dubbi, a cominciare dalla capacità reale di Atene di reperire beni pubblici per 50 miliardi di euro da destinare al Fondo di garanzia previsto dall’accordo. Ci ha poi pensato il Fmi a gettare ulteriore benzina sul fuoco con un sintetico documento che ha dimostrato la pressoché totale impossibilità della Grecia di ridurre il suo debito pubblico, che anzi aumenterà fino al 200% del Pil nel 2020 ed ancora nel 2022 sarà a malapena ridisceso ai livelli, già insostenibili, di oggi. Ma ciò soltanto se tutti gli ingranaggi dell’economia greca, incluse le riforme richieste, funzioneranno da adesso in poi come un orologio svizzero (cioè con un avanzo primario dello Stato a medio termine pari al 3,5%, che solo pochi Paesi, aggiunge lo stesso Fmi, hanno dimostrato di poter conseguire, più un forte recupero di produttività e crescita nonché una robusta ricapitalizzazione delle banche), altrimenti potrebbero essere necessari nuovi aiuti. Insomma, dopo una diagnosi così cruda da parte del Fmi l’Europa è stata più o meno messa di fronte a nuovi e pressanti interrogativi. Come può un Paese così squilibrato come la Grecia uscire da una crisi così profonda? Come può diventare sostenibile un debito gigantesco come quello di Atene (per di più in mani estere per l’80%)? Deve essere ulteriormente ristrutturato e come? Il Presidente della Bce Draghi ha affermato ieri che «un alleggerimento del debito greco è necessario, il problema è quale sia la miglior forma all’interno del nostro sistema giuridico». È ciò che deve fare l’Europa, se necessario però modificando con coraggiosi decisioni politiche anche le impalcature giuridiche. La Germania, che in Europa pesa più di tutti e ha più responsabilità, deve decidere finalmente se tali impalcature sono verità assolute fini a se stesse, anche se rischiano così come sono attualmente costruite di mettere a repentaglio lo stesso disegno politico europeo, oppure se non debbano essere strumentali a quest’ultimo, e quindi adattabili e flessibili ai tempi e alle circostanze. Lo stesso vale, dopo la crisi della Grecia, per lo stallo in cui si trova l’Europa medesima, imprigionata in una rigorosa austerità fine a se stessa. Austerità il cui totem è il Fiscal Compact attuale, che non riuscirà mai a far quadrare il cerchio dello sviluppo.