Disastro ambientale nel West: gli indiani Navajo colpiti dal fiume giallo

Disastro ambientale nel West: gli indiani Navajo colpiti dal fiume giallo
di Anna Guaita
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Giovedì 13 Agosto 2015, 22:00 - Ultimo aggiornamento: 16 Agosto, 18:51
NEW YORK – Nella nazione Navajo c’era molta gioia negli ultimi mesi: dopo decenni di liti con il governo federale, aveva ottenuto finalmente i finanziamenti per costruire un impianto di depurazione dell’acqua lungo il fiume San Juan. Almeno 20 mila persone nella riserva avrebbero avuto acqua corrente. Ma un disastro ambientale esploso lo scorso 5 agosto sta cancellando la speranza di questa grande riforma. Sembra che chi vive lungo il fiume non solo non abbia alcuna speranza di vedere nascere un acquedotto nel prossimo futuro, ma tema di vedere i suoi raccolti distrutti e la vita di tutti i giorni irreparabilmente danneggiata. Nella riserva che si estende per 71 mila chilometri quadrati in quattro diversi Stati (Colorado, Utah, Arizona e Nuovo Messico) vivono 175 mila indiani Navajo, più della metà dell’intera discendenza oggi esistente negli Usa. Di questi un terzo vive lungo le sponde del San Juan.



La causa di tanta disperazione è l’onda inquinante di 11 milioni di litri di fango intriso di arsenico, piombo, ferro e altri metalli, accidentalmente fatta uscire da una miniera d’oro abbandonata da quasi cent’anni. Il fiume Animas, nel Colorado, si è trasformato in una striscia gialla e pian piano ha trasportato l’onda viscida e tossica anche nel fiume San Juan. Tre Stati sono rimasti colpiti da questa incredibile catastrofe, il Colorado, lo Utah e il Nuovo Messico. Furibondo il governatore del Colorado, John Hickelooper, un democratico che ha avuto parole di fuoco contro l’Ente della Protezione Ambientale, che ha involontariamente causato la fuoriuscita dalla miniera: “Siamo tutti furiosi” ha detto il governatore, che ha lamentato non solo l’inettitudine dei tecnici dell’Epa, ma anche il fatto che abbiano aspettato un giorno intero prima di dare l’allarme.



Lungo l’Animas e il San Juan fioriscono l’industria del turismo e l’agricoltura, entrambi pesantemente colpite. I due fiumi sono stati chiusi a ogni attività umana. E non basta: non solo c’è il divieto per gli umani di bere e lavarsi ma anche di portare animali domestici e bestiame ad abbeverarsi in quelle acque velenose. Chiusi pure i canali dell’irrigazione. E questi sono divieti che penalizzano in modo drammatico tutte le popolazioni dei tre Stati e in special modo i Navajo. La grande riserva ha un’economia basata su turismo e agricolutra, e le colture più ricche sono proprio lungo il fiume – mais, meloni, zucche e zucchini – e ora non si può annaffiarle. Il presidente della nazione Navajo, Russell Begaye, non ha avuto peli sulla lingua: “Lo sapevano da tempo che quella miniera era un disastro in agguato, non gliela faremo passare liscia, non gli permetteremo di ignorare le conseguenze di questo disastro”.



L’Epa ha aperto una sua indagine interna, preoccupata anche del fatto che nel Paese ci sono centinaia di miniere abbandonate che potrebbero un giorno diventare fonte di altri incidenti simili. Ma c’è una forte incertezza per il futuro: anche se l’acqua inquinata passa, i metalli possono essere rimasti depositati sui letti dei due fiumi, e possono essere penetrati nelle falde acquifere da cui migliaia di pozzi prelevano acqua per le regioni più interne. Il procuratore generale del Colorado, Cynthia Coffman, ha ammesso che “ci vorranno anni prima di capire quanto siano gravi e durevoli i danni causati dall’onda tossica”.



Nel frattempo, le case vengono rifornite vie autobotti, e lo stesso si farà per i campi da irrigare. Ma è inutile sottolineare che per la nazione Navajo l’estate del 2015 è destinata a passare alla storia come un’altra sconfitta inflitta dai bianchi, per quanto involontaria sia stata.