Dacca, il sacrificio di Faraaz: rifiuta di scappare per star vicino alle amiche e viene ucciso

Dacca, il sacrificio di Faraaz: rifiuta di scappare per star vicino alle amiche e viene ucciso
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Domenica 3 Luglio 2016, 18:53 - Ultimo aggiornamento: 4 Luglio, 10:18

Aveva la possibilità di salvarsi, in quanto musulmano, ma ha scelto di non abbandonare le amiche. Ed è morto con loro. Dopo la terribile notte all'Holey Artisan Bakery di Dacca, emergono i dettagli e le storie degli sfortunati protagonisti, vittime del furore jihadista. Quella di Faraaz Hossein è una storia di coraggio. Bengalese, vent'anni, Faraaz stava cenando al ristorante assaltato dai terroristi insieme con due ragazze, un'americana compagna di college negli Stati Uniti, in Georgia, ed un'indiana che studiava in California. Quando il commando ha fatto irruzione, le vittime prescelte sono state selezionate in base alla propria fede religiosa ed alla conoscenza del Corano. Faraaz, secondo i testimoni, è stato graziato perché musulmano e gli è stato offerto di lasciare il locale, insieme alle altre donne che indossavano il velo.

Quando però le sue amiche sono state bloccate, perché indossavano abiti occidentali, lui ha fatto marcia indietro, decidendo di restare con loro. E diverse ore dopo il blitz che ha neutralizzato i suoi carcerieri, è stato trovato morto con altri 19 ostaggi. Faraaz era uno studente della Emory University, ricco college privato americano. Un collega, Rifat Mursalin, lo ricorda come pieno di talento e con una propensione per gli altri, dimostrata attraverso il volontariato in diversi progetti scolastici. La sua compagna di sventura si chiamava Abinta Kabir. Nata a Miami ma di origini bengalesi, era rientrata a Dacca per far visita ai familiari. Con Faraaz erano amici d'infanzia e al college facevano parte del comitato studentesco. La sera del ristorante erano insieme a Tarishi Jain, 18enne studentessa indiana a Berkeley il cui padre si era trasferito diversi anni prima in Bangladesh per affari. Anche lei è stata protetta da Faraaz fino alla fine, anche se inutilmente.

Lo shock per la strage si è avvertito soprattutto in Italia ed in Giappone, che hanno pagato il più pesante tributo di sangue. Alcune delle vittime giapponesi lavoravano per una società di costruzioni, la Oriental Consultants Global Co, che stava partecipando a progetti di cooperazione per lo sviluppo del Bangladesh. «Avevano raccomandato loro di stare attenti ed evitare di andare fuori a meno che non fosse strettamente necessario», ha spiegato il presidente del gruppo, Eiji Yonezawa, comunicando tra le lacrime i nomi dei suoi dipendenti uccisi. Come il 32enne Makoto Okamura, impiegato in un gruppo collegato. Avrebbe dovuto sposarsi fra un anno. Il padre, inconsolabile, ha raccontato la loro ultima telefonata: «Sto partendo adesso per il Bangladesh, mi ha detto, ed io gli ho chiesto di stare attento. Adesso è difficile trovare la parole».

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