Dal piccolo calciatore alla promessa sposa: sognio spezzati sui binari

Dal piccolo calciatore alla promessa sposa: sognio spezzati sui binari
di Pietro Treccagnoli
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Giovedì 14 Luglio 2016, 08:43 - Ultimo aggiornamento: 11:00


BARI Quindici anni li avrebbe compiuti solo a novembre. Antonio Summo, di Terlizzi, è la vittima più giovane della tragedia ferroviaria che ha insanguinato la contrada di ulivi e vigne sperduta tra Andria e Corato, nella Puglia rovente di luglio. Antonio era andato a Bari a sostenere l'esame per il recupero scolastico. In quel maledetto martedì l'ansia lo aveva preso alla pancia. Il padre gli aveva detto di lasciar perdere. Resta a casa, non ce la fai. Ma Antonio era testardo, non voleva perdere l'anno. È andato a Bari, ha superato la prova, ha rassicurato a casa ed è salito in uno dei due treni della morte.

LE SCARPE E LO ZAINETTO
A casa non è mai arrivato. Ne hanno estratto il giovane corpo straziato dalle lamiere, insieme a quello delle altre vittime che non sapevano di correre verso l'ignoto. L'altra notte i genitori hanno riconosciuto la sua salma grazie alle scarpe di ginnastica e allo zainetto con i libri. Ma ieri mattina all'Istituto di Medicina Legale del Policlinico di Bari, dove i corpi senza vita sono stati radunati, sono arrivati gli amici e anche uno degli allenatori della squadra di calcio dove Antonio giocava. «Aveva il pallone nel sangue» racconta, trattenendo le lacrime, Sergio Allegretti. In mano ha un mazzo di fiori e una maglietta del Real Football Terlizzi, gliela aveva portata a vedere per l'ultima volta, sebbene i suoi occhi erano spenti, pieni di buio.

Il coach si allontana, mentre dalle scale della palazzina gialla scendono altri parenti. Chi si concede e chi si allontana senza dire una parola, gli occhiali scuri a coprire le occhiaie. Da un lato delle scale qualcuno ha attaccato una piccola bandiera di plastica. Anche qui serviva un tricolore a lutto, non solo nei palazzi delle istituzioni, anche qui dove il dolore si scompone e si ricompone. L'assedio delle telecamere può disturbare, ma a volte aiuta a sfogarsi.

Domani sera i corpi saranno consegnati alle famiglie e da sabato sarà possibile organizzare i funerali. Quando arrivano politici e istituzioni (sindaci, ma anche magistrati) dai piccoli gruppetti di parenti che sono ancora ad aspettare il proprio turno per il riconoscimento, si alza, nel gelo diffuso, una protesta sommessa, che solo le orecchie più vicine e più attente riescono a cogliere: «Noi moriamo perché prendiamo il treno, loro viaggiano in elicotteri e auto blu. Sarà stato pure il destino a colpire le nostre famiglie, ma capita sempre a noi. Non c'è un destino uguale per tutti».

Sono 23 le vittime, quattro in meno del numero circolato ufficiosamente nelle prime ore. Tutte sono state identificate, anche l'ultima rimasta senza nome fino alla serata di ieri, quella di un sessantenne di Andria, Giovanni Porro. Oltre i 23 morti, sono 52 i feriti transitati nei pronto soccorso. Ne sono ricoverati ancora 24, e 8 restano in prognosi riservata. Tra di loro, ma solo per la tenera età, c'è pure il piccolo Samuele estratto vivo dai soccorritori. Samuele proprio ieri ha compiuto sette anni. Non sa ancora che la nonna, Donata Pepe, 63 anni, di Cerignola, che l'ha protetto con il corpo e l'ha salvato, è morta.

Ieri, solo ieri, il calvario della speranza e della paura si è compiuto per tutti. Ma dalle voci di fuori si è alzata una richiesta forte, imprescindibile, di certezze. «Aiutateci a scoprire chi deve pagare perché non meritavano di morire così» chiede affranta la figlia di Enrico Castellano, 74 anni, dirigente in pensione del Banco di Napoli.
Le storie minime si intrecciano. Un'esitazione è stata provvidenziale, una cocciutaggine fatale. Lo zio di Francesco Tedone, di 17 anni, studente di informatica, racconta che il nipote stava tornando a casa, era andato a trovare un'amica. Un altro studente (di Scienze dei materiali), ma che ormai aveva trovato lavoro in una fabbrica di Modugno, Gabriele Zingaro, 23 anni, stava rientrando dopo essere stato proprio al policlinico di Bari. Doveva farsi controllare una ferita che si era procurato sul lavoro. Al Policlinico c'è tornato qualche ora dopo senza più vita. I parenti speravano che non fosse tra le vittime: «È assurdo e ingiusto - ripetono come un mantra che non consola - che accadano tragedie del genere su un treno così ordinario e, soprattutto, considerato da tutti molto lento». In uno dei due treni che correvano il loro viaggio senza fine era salita pure una terza studentessa: Jolanda Inchignolo, a novembre avrebbe compiuto 25 anni, era iscritta alla facoltà di Lettere. Il fidanzato, Marco, è inconsolabile: «Tra qualche mese dovevamo sposarci».

Pure una parente di Michele Corsini, 61 anni, nato a Milano, esce dalla palazzina infuriata, scende velocemente la scalinata e davanti alle telecamere ha solo voglia di gridare: «Nel 2016 andiamo nello spazio da decenni e in Italia ci sono ancora linee ferroviarie con un solo binario». Pasqua Carmineo, chiamata da tutti Patty, una cascata di capelli biondi, 30 anni, estetista, lascia una figlia di due anni e mezzo: «Era un angelo, era bellissima» dice di lei una zia inconsolabile. «Si era trasferita ad Andria dopo il matrimonio».

IL CONTADINO SULL'ALBERO
All'ultimo minuto ha preso uno di quei treni senza ritorno pure Maria Aloisi, 49 anni. «Doveva andare ad assistere un amico» racconta il cognato. Maria è stata riconosciuta per alcuni dettagli: aveva una collana con la lettera M a fare da ciondolo e una cicatrice sul labbro superiore. È nell'elenco dei morti: lascia due figli, di 21 e 28 anni. L'elenco freddo di nomi nasconde, ma la pietà scopre, spoglia. Quattordici uomini e nove donne. .Luciano Caterino, 37 anni, di Ruvo di Puglia, è un dipendente di Ferrotranviarie. Aveva cambiato il turno con un collega. Ovviamente non sono sopravvissuti i due macchinisti, compagni di sventura. Pasquale Abbasciano aveva 61 anni, era nato ad Andria e stava per andare in pensione. Tra un anno. I colleghi: «Era felice, contava i giorni». L'altro treno era guidato da Albino De Nicolo, di Terlizzi, 57 anni. Stroncato dall'impatto.

Ha un nome pure il contadino colpito da un frammento delle carrozze volato fino a lui, e che stava in campagna a potare un ulivo. Si chiamava Giuseppe Acquaviva, aveva 59 anni, era di Andria. La morte lo ha falciato sotto il sole infuocato in mezzo a quel campo sperduto nel nulla.

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