Antinori, embrioni sequestrati alla clinica pronti per tre coppie

Antinori, embrioni sequestrati alla clinica pronti per tre coppie
di Claudia Guasco
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Martedì 17 Maggio 2016, 08:39 - Ultimo aggiornamento: 15:30

MILANO - E' un dilemma giuridico ed etico, un caso senza precedenti. A chi appartengono gli embrioni sequestrati nella clinica del professor Severino Antinori, ai domiciliari con l'accusa di rapina aggravata? Ora sono custoditi nell'archivio degli embrioni della Mangiagalli, ma sulla loro sorte al momento è buio totale.

Per i magistrati che si occupano del prelievo forzato di ovociti al quale sarebbe stata sottoposta Hanae M., 24 anni, la questione è spinosa. Sono frutto di rapina e corpo del reato - stando al racconto della giovane spagnola - fecondati da padre noto e di proprietà di una madre denunciante, cioè Hanae. Non esiste giurisprudenza in merito e bisogna stabilire a chi appartengano gli ovuli fecondati. Un problema in più per gli investigatori, al lavoro sulla mole di materiale raccolto nella Clinica Matris alla quale sono stati messi i sigilli. «L'impellente bisogno di reperire ovociti, idonei all'immediato impianto nell'utero delle clienti, nell'esclusiva ottica della massimizzazione del profitto», è il movente che secondo il gip Giulio Fanales avrebbe spinto Severino Antinori e le sue due collaboratrici «a comportamenti spregiudicati».

 

«OBNUBILATO DAL GUADAGNO»
E il professore, «obnubilato dalla finalità di guagagno», dimostra «indifferenza nei confronti della dignità e del corpo della donna». Alla ragazza vengono asportati otto ovociti, sei vengono fecondati e quattro diventano embrioni, destinati a tre coppie. Ma per ora non sono di nessuno ed è complicato decidere a chi debbano andare, dato che Hanae sostiene le siano stati sottratti con la violenza. Quando si è opposta all'operazione, scrive il giudice, è stata «afferrata e spinta contro il muro con la forza, trascinata per le braccia fino alla sala operatoria e rivestita con il camice. Malgrado implorasse piangendo di non essere sottoposta all'intervento, veniva messa sul lettino e totalmente sedata, mediante un'iniezione al braccio». Al suo risveglio capisce cosa è successo e, in due drammatiche chiamate al 112 acquisite agli atti, chiede aiuto: «Piange spaventata, riferisce del prelievo di ovuli da impiantare in altre pazienti contro la sua volontà, avverte che la segretaria sta per bloccarle il telefono». Quando arriva la polizia la trova in lacrime, seduta in pigiama vicino all'ingresso. Antinori, «in attesa degli agenti», le avrebbe detto «che, possedendo molto denaro e potere, avrebbe incaricato alcune persone di ucciderla».

«ERO TERRORIZZATA»
Quindi il professore dà in escandescenze. Si rifiuta di esibire i suoi documenti alle forze dell'ordine, «intima loro con fare ostile di allontanarsi, altrimenti avrebbe chiamato il questore, esibisce una rivista medica che lo ritrae in copertina a significare la propria notorietà». E nega qualsiasi informazione sull'intervento «per presunti motivi di riservatezza». Hanae viene portata alla Mangiagalli, dove si confida con i medici: «Ero terrorizzata che potessero nascere bambini dai miei ovuli senza maternità, senza la mia volontà, senza un progetto d'amore». A carico del professor Antinori i magistrati hanno i lividi sul corpo della ragazza, la telefonata alla polizia, diverse testimonianza e soprattutto quegli embrioni di nessuno.