Elezione diretta del premier. Una norma anti-ribaltone e anti-governo tecnico. E, come anticipato ieri dal Messaggero, l’addio ai senatori a vita. Il tutto, in soli 5 articoli. Per archiviare la Seconda Repubblica al governo di Giorgia Meloni potrebbero bastare poco meno di 450 parole. La bozza di riforma costituzionale presentata ieri a palazzo Chigi dalla premier agli esponenti della maggioranza è infatti «snella e chirurgica».
I TEMPI
Un premierato “soft”, figlio di una scelta precisa, utile non solo ad evitare «inutili inciampi» o margini più ampi per gli emendamenti - spiega una fonte ai vertici dell’esecutivo - ma anche per provare ad accelerare di molto un iter che si annuncia giustamente complesso.
Il cronometro in ogni caso, scatterà già questo venerdì, quando il testo del Ddl approderà al Consiglio dei ministri per essere incardinato (con ogni probabilità ad esprimersi per prima sarà la Commissione Affari Costituzionali della Camera) e per mettere nero su bianco quella «piena condivisione» della maggioranza verificata ieri durante il vertice a cui hanno preso parte i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, la ministra per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa Maria Elisabetta Alberti Casellati e il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, gli onorevoli Lorenzo Cesa dell’Unione di centro e Maurizio Lupi di Noi Moderati.
IL TESTO
Redatto dalla ministra Casellati e da Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico della presidente del Consiglio, il testo introduce il premierato modificando l’articolo 92 della Costituzione con la seguente formula: «Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni». Il riferimento è a votazioni che avvengono «tramite un’unica scheda elettorale» e che sono regolate da un sistema elettorale con un premio per i candidati e le liste collegate al premier «il 55 per cento dei seggi nelle Camere». In pratica la materia del sistema di voto sarà lasciata al Parlamento anche se l’esplicito riferimento alle «liste collegate al premier» fa intendere che le coalizioni dovranno presentarsi a sostegno di un unico nome come presidente del Consiglio.
Tornando alla bozza, una delle novità più significative è l’alleggerimento della prevista norma “anti-ribaltone”. Non c’è infatti il principio del “simul stabunt simul cadent” - come Meloni voleva e secondo qualcuno vorrebbe ancora - ma non ci sarà nemmeno la sfiducia costruttiva vera e propria, ovvero la possibilità di sfiducia nei confronti del premier eletto dal popolo solo nel caso in cui ci sia già pronta un’altra maggioranza con un altro primo ministro. Così come non c’è l’esplicito riferimento al fatto che, in caso di premier sfiduciato, il nuovo governo debba necessariamente poggiarsi sulla stessa maggioranza. Il presidente del Consiglio in pectore può cioè cercare i voti in Parlamento per tentare un nuovo incarico, a patto che la formazione che lo sostiene attui «le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere». In un colpo solo si evita quindi che un partito possa essere sostituito con un altro (in stile passaggio dal Conte I al Conte II) e si rende impossibile al presidente della Repubblica assegnare il compito di formare un nuovo governo a chi non è stato eletto. Vale a dire addio a governi tecnici come quelli di Ciampi nel ‘93, di Dini nel ‘95, Monti nel 2011 e di Draghi nel 2021.
Infine, nel Ddl “Introduzione dell’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri e razionalizzazione del rapporto di fiducia”, si preserva da un lato l’automatismo che prevede un seggio da senatore a vita per gli ex presidenti della Repubblica che hanno terminato il proprio mandato e dall’altro si abroga la facoltà del Capo dello Stato di nominare i senatori a vita. Fatta salva la possibilità di Sergio Mattarella di nominarne altri da qui all’effettiva entrata in vigore del testo (al momento sono 5, ma l’interpretazione su quanti debbano essere è notoriamente complessa), gli ultimi senatori sarebbero quindi l’ex premier Mario Monti, la ricercatrice Elena Cattaneo, l’architetto Renzo Piano, il fisico Carlo Rubbia - tutti nominati da Giorgio Napolitano - e la superstite dell’Olocausto Liliana Segre, nominata proprio da Mattarella.