Stipendi, pensioni, casa: cosa cambia nel 2024 con la Manovra. Da gennaio nuova Irpef e taglio del cuneo

Il prossimo anno sarà più difficile lasciare il lavoro anticipatamente

Stipendi, pensioni, casa: cosa cambia nel 2024 con la nuova Manovra. Da gennaio nuova Irpef e taglio del cuneo
di Luca Cifoni
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Martedì 31 Ottobre 2023, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 1 Novembre, 08:02

Retribuzione più alta per i dipendenti pubblici e privati con l’esonero contributivo, a cui si aggiunge l’effetto del primo pezzo di riforma dell’Irpef. Pensioni rivalutate ma con una percentuale un po’ meno generosa per quelle alte, al di sopra dei 5.680 euro lordi mensili. Uscita anticipata dal lavoro un po’ più difficile e - nel caso di alcune categorie di dipendenti pubblici - penalizzata da un meccanismo di calcolo meno favorevole. Le principali novità della legge di Bilancio appena inviata al Senato, con la consueta autorizzazione del presidente Mattarella, scatteranno dal prossimo primo gennaio. Altre misure, come sempre, dovranno attendere successivi provvedimenti attuativi. Nel testo di 109 articoli non ci sono per ora interventi sul tema del superbonus: l’incentivo alle ristrutturazioni edilizie resta destinato a scendere al 70%.

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L’IPOTESI
Partiamo proprio dalle retribuzioni. Il governo destina circa 10 miliardi - su 28 complessivi messi in campo - alla riduzione dei contributi previdenziali a carico del lavoratore, il famoso “taglio del cuneo”.

Che alla fine è confermato nella versione già in vigore quest’anno (sette punti in meno per gli stipendi fino a 25 mila euro, sei per quelli fino a 35 mila) nonostante l’ipotesi, subito archiviata, di prevedere una “scaletta” più graduale. Dalle ultime bozze del testo è emerso però che il beneficio non sarà applicato sulle tredicesime del 2024. Per la stessa platea, ovvero dipendenti sia pubblici che privati, ed in più anche per i pensionati, scatterà da gennaio pure la minore Irpef derivante dal passaggio da quattro a tre scaglioni d’imposta. Si tratta di un beneficio di non molti euro al mese (al massimo circa 20) che sarà visibile direttamente nel cedolino dello stipendio o della pensione, se datori di lavoro e istituti previdenziali saranno rapidi nell’applicare le novità legislative. Sempre sugli assegni previdenziali si vedrà l’effetto della rivalutazione legata all’inflazione che si è accumulata quest’anno. Il tasso sarà dunque vicino al 6 per cento ma se ne avvantaggeranno in pieno solo coloro che hanno un trattamento fino a 2.272 euro lordi mensili (quattro volte il minimo Inps): per quelli al di sopra di questa soglia il recupero sarà decrescente, fino a ridursi ad un modesto 22 per cento (rispetto al 32 applicato nel 2023) per coloro che si collocano oltre le dieci volte il minimo.

I MARGINI
Per chi invece in pensione ci deve ancora andare le novità sono limitate e vanno per lo più a restringere i margini di flessibilità esistenti. Resta infatti Quota 103, ovvero la possibilità di lasciare il lavoro con 62 anni di età e 41 di contributi. Nella versione originale si parlava di Quota 104: invece a seguito delle pressioni della Lega la formula in vigore già quest’anno resterà ma con “paletti” piuttosto significativi. L’assegno sarà interamente calcolato con il metodo contributivo, che normalmente risulta meno vantaggioso. E in ogni caso ci sarà un tetto: l’importo non potrà superare quattro volte il minimo Inps (come abbiamo visto 2.272 euro lordi mensili). Chi sfrutterà questa opportunità dovrà comunque attendere da sette a nove mesi, una volta maturato il diritto, prima di andare effettivamente in pensione. Maglie più strette anche per l’Ape sociale, l’indennità ponte riservata a disoccupati, disabili e lavoratori impegnati in mansioni “faticose” in attesa del vero e proprio trattamento previdenziale: per richiedere l’anticipo serviranno 63 anni e 5 mesi di età, cinque mesi in più rispetto a quest’anno. Per Opzione donna, l’età-base passa invece da 60 a 61 anni, che potranno essere ridotti (fino a 59) se la lavoratrice interessata ha figli. Restano le limitazioni già applicate quest’anno: di fatto potranno fare la scelta solo disabili, oppure donne impegnate nell’assistenza di un parente stretto, o ancora lavoratrici licenziate o dipendenti da aziende in crisi.

EFFETTO DIFFERENZIATO
Pubblico impiego e sanità ricevono significativi incrementi degli stanziamenti, ma in questo caso l’effetto sarà differenziato nel tempo. Grazie al decreto “anticipi”, che carica sul bilancio 2023 una parte dei fondi, i dipendenti dello Stato centrale e quelli della sanità dovrebbero ricevere un’anticipazione rispetto ai rinnovi contrattuali per i quali vengono resi disponibili cinque miliardi l’anno. Gli aumenti a regime però decorreranno solo dal momento in cui saranno effettivamente concluse le intese tra sindacati e datore di lavoro pubblico. Ci vorrà ancora parecchio, considerato che si parla in questo caso del triennio 2022-2024 (dunque la trattativa è già in ritardo) ma deve ancora essere del tutto chiusa la stagione contrattuale relativa al 2019-2021.

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