Migranti e Tunisia, Crosetto: «Gli Usa sblocchino i fondi. l’Europa si gioca il futuro»

Il ministro della Difesa: al vertice Nato porteremo l’emergenza Mediterraneo

Migranti e Tunisia, Crosetto: «Gli Usa sblocchino i fondi. l’Europa si gioca il futuro»
di Francesco Bechis
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Lunedì 12 Giugno 2023, 00:27

Per il governo è un pensiero fisso. Guido Crosetto, ministro della Difesa, lancia un appello agli Stati Uniti e al Fondo monetario internazionale: se la Tunisia di Kais Saied finisce in default, non rischia solo l’Europa ma «l’intero Occidente».

Ministro, nonostante la missione Ue la strada per sbloccare il prestito del Fmi a Tunisi resta in salita. Esiste un piano b per salvare il Paese dalla bancarotta?

«Deve esistere un piano b, c e d. Non dobbiamo sclerotizzarci su una sola soluzione ma cercare di raggiungere l’obiettivo. O l’Europa aiuta la Tunisia e l’Africa a crescere o non avrà futuro».

Temete un boom di partenze dalle coste tunisine?

«La posta in gioco è più alta. L’Europa non può preoccuparsi solo dell’escalation di sbarchi, deve pensare al destino di un continente che tra quindici, vent’anni avrà due miliardi e mezzo di abitanti. Se non agisce, lascerà l’Africa sotto l’influenza di Russia e Cina, che vogliono sfruttarla proprio come i colonialisti europei un secolo fa».

Convincerete gli Stati Uniti che l’implosione sociale tunisina è un problema di sicurezza che riguarda anche loro?

«È strano doverglielo far capire, certe cose non andrebbero spiegate. La mancanza di aiuto dell’Occidente non solo mette la Tunisia in difficoltà, la consegna in mano a potenze che vorrebbero usarla per mettere in crisi l’Occidente tra qualche anno».

La Russia può usare l’immigrazione africana come un’arma contro l’Europa?

«In via indiretta sì. È presente in Africa con soldati e mercenari, come la Wagner, che sono riusciti a infiltrarsi nei governi di diversi Paesi, penso al caso recente del Sudan.

Mettono una parte contro l’altra, creano percorsi di instabilità che costringono all’immigrazione centinaia di migliaia di persone».

Manca un mese al vertice della Nato a Vilnius. L’Italia accenderà i riflettori sui pericoli dal fianco Sud e i rischi di un’immigrazione incontrollata?

«La Nato ha le sue priorità strategiche. In Africa la prima preoccupazione è la destabilizzazione del Sahel attraverso il terrorismo e l’infiltrazione di potenze straniere nelle istituzioni di questi Paesi. L’immigrazione clandestina controllata dalle organizzazioni criminali è una derivata secondaria, un campanello d’allarme di cui noi cogliamo la potenziale gravità perché siamo la nazione più vicina».

A proposito di allarmi, perché sono intervenute le forze speciali italiane per liberare la nave turca al largo di Sorrento? Era necessario?

«La presenza a bordo di una nave mercantile di personale armato, che non risponde alle disposizioni dell’equipaggio, costituisce sempre una potenziale grave minaccia all’equipaggio, comportando un immediato intervento delle autorità per il ripristino delle condizioni di sicurezza necessarie al prosieguo della navigazione. Il battaglione San Marco ha agito seguendo il protocollo».

Ha anticipato che serve una revisione delle forze armate italiane. Di cosa si tratta?

«Non solo italiane. È necessario un ripensamento della missione e delle regole di ingaggio delle nostre forze armate. Fino in anni recenti erano strutturate come forze da utilizzare in operazioni di pace, oggi possono essere chiamate sempre più a ricoprire il ruolo di forze speciali».

Parliamo di Ucraina. L’invio di aerei è sul tavolo? C’è un limite al sostegno militare italiano?

«Non è mai stato sul tavolo. L’Italia è e resta al fianco della resistenza ucraina contro l’aggressione russa. Ovviamente coltiviamo ogni giorno la speranza che la guerra finisca e che questi aiuti non siano più necessari».

Userete i fondi del Pnrr per acquistare munizioni?

«Abbiamo detto no fin da subito, il Pnrr ha un’altra missione. Da mesi spieghiamo che sarebbe molto più serio escludere dal nuovo Patto di stabilità le spese di investimento della Difesa».

Una richiesta che a Bruxelles divide. Avete colto un’apertura della Germania dalla recente visita a Roma del cancelliere Scholz?

«Crediamo che non sia nell’interesse di nessun Paese europeo difendere vincoli e regole immaginate quindici anni fa a discapito delle costruzioni sociali europee che ora rischiano di essere distrutte. La crisi ha investito tutti i Paesi europei prima con la pandemia, ora con la guerra, l’inflazione e la perdita di potere di acquisto delle famiglie sono un problema comune. Il debito non serve a scialare o finanziare bonus assurdi, ma a sostenere sanità, università, le fasce più deboli».

Sulla riforma del Patto farete asse con la Francia lasciando da parte l’acredine degli ultimi mesi?

«Mi auguro di sì. Aggiungo però che c’è stata acredine solo da parte francese e in particolare da alcuni ministri. L’Italia non ha mai risposto agli schiaffi e ha dato prova di serietà e pazienza. La calma è la virtù dei forti».

Oggi saranno a Roma gli ispettori della Commissione per il Pnrr. Il governo sembra lamentare un accanimento dell’Ue sul Recovery italiano che prima non esisteva. È così?

«Non so se c’è un accanimento, so di certo che l’Italia non è cambiata in peggio. Il percorso delle riforme chieste dal Pnrr non è rallentato, Draghi non avrebbe fatto di più. Il problema del Pnrr può essere un altro».

Ovvero?

«La capacità del sistema Paese di assorbirlo, di trasformare le cifre del piano in lavori pubblici, camion, betoniere, impianti edili, ore di ingegneria e lavoro di operai. Rispetteremo la scadenza di agosto, ma faremo anche in modo che ai finanziamenti corrispondano progetti reali e realizzabili».

I ritardi sono colpa della burocrazia?

«La burocrazia è una parte della soluzione ed anche del problema. È lo scheletro del Paese, e senza lo scheletro un organismo non si muove. Poi ci sono anche funzionari, una piccola minoranza, che per ragioni ideologiche sperano che il Pnrr fallisca».

L’Italia sta “ricattando” l’Europa sul Mes?

«Ma no! In Ue tutti i Paesi trattano, e trattare significa anche tenersi in mano carte che interessano altri».

Manca un anno alle elezioni europee. È vero che si candida?

«No. La carica di parlamentare europea è incompatibile con quella di governo. Ho preso un impegno e lo manterrò».

Siete sicuri che l’asse tra popolari e conservatori abbia i numeri per vincere?

«I numeri ci sono, questa intesa è esiziale per l’Europa. Abbiamo l’occasione di cambiare l’Ue, guarirla da un approccio ideologico alla Timmermans con cui stiamo regalando il futuro dell’industria europea a potenze straniere e rivali».

Forza Italia e il Ppe hanno chiuso alla Lega di Matteo Salvini. Voi?

«Sono convinto che lo schema di coalizione portato avanti in Italia debba valere anche in Europa. La Lega di Salvini è una forza europea, a mio parere simile alla Csu tedesca. Deve essere dentro».

E lasciare Le Pen?

«Questa è una scelta politica che spetta solo a Salvini».

Riforme: andrete avanti sul premierato anche a costo di affrontare il referendum?

«Credo che sulle riforme costituzionali si debba cercare il massimo consenso possibile. Ma è un impegno che abbiamo preso con il Paese e porteremo avanti».

L’autonomia differenziata rischia di creare disuguaglianze?

«Sono convinto che i soldi vadano spesi da chi li spende meglio e solitamente sono comuni e regioni. Ci sono sfide per il futuro però, la tecnologia, la scuola, l’energia e la difesa stessa, per cui perfino l’Italia da sola non basta. Pensare di affidarle alle sole Regioni è una follia».

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