Carlo Calenda, lei è stato il primo a esultare per le uscite anti-sovraniste di Giorgetti. Come mai?
«Perché è un fatto molto importante che Giorgetti dica alla Lega di diventare un normale partito del centrodestra europeo, aderendo al Ppe e lasciando perdere ungheresi e polacchi».
Quelli con cui proprio ieri Salvini ha parlato e non è per nulla intenzionato, tutt'altro, a mollare Orban oltre che a tenersi Bolsonaro?
«Ci sono due Leghe. Una matura e di governo. Un'altra immatura e confusionaria, destinata a non contribuire in modo serio al governo del Paese».
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Ma Salvini è entrato nella maggioranza che sostiene Draghi. Non va considerato questo sforzo?
«Non è servito a niente. Ogni giorno, Salvini prende una posizione diversa e chiede a Draghi un incontro inutile. Poi esce da questi incontri e contraddicendo la posizione precedente. E' accaduto sul Green pass e sulle pensioni».
Molti sostengono però che Giorgetti non è un leader.
«Le cose che sta dicendo in questi giorni, che lo accomunano ad altre personalità leghiste, da Zaia a Fedriga, dimostrano un profilo di leadership che si va definendo».
Giorgetti, Crosetto, Carfagna, Brunetta e altri come loro dovrebbero convergere al centro e incontrarsi con Azione?
«Tutti loro non c'entrano nulla con Salvini e Meloni. Quello che occorre fare è chiudere la stagione del bipopulismo che da 30 anni blocca il Paese».
Addirittura 30 anni?
«Sì, dalla nascita della Prima Repubblica è solo uno scontro ideologico tra destra e sinistra privo di contenuti ideologici e ciò ha portato il Paese al declino».
Ma di centro si parla sempre e non si fa mai. Non è una categoria superata?
«Io non parlo mai di centro.
Se Berlusconi non riesce ad andare al Quirinale, mollerà Salvini e Meloni per unirsi al progetto nuovo?
«Berlusconi potrebbe chiudere la sua carriera politica levandosi dal giogo di Salvini e Meloni e contribuendo a riportare Draghi al governo di una larga coalizione dopo il 2023. Il segno della nostra politica, tra riformismo e pragmatismo, dovrà essere esattamente sulla linea di Draghi ed è quello che Azione intende perseguire».
Ma Draghi lo vogliono quasi tutti al Colle, compreso Giorgetti.
«Sarebbe un errore. Se va al Quirinale, il rischio è quello di tornare alla situazione di prima. Con Salvini e Meloni che gridano contro Letta e Conte e viceversa. Dev'essere chiaro che, se la politica tornasse quella dell'urlo, non saremo capaci di spendere neppure un euro dei fondo del Pnrr».
Calendismo, giorgettismo e via dicendo hanno bisogno di una nuova legge elettorale. Non è improbabile che si faccia?
«Il maggioritario ha fallito, ha portato a una non governabilità e ha aumentato i conflitti. Per aprire la Terza Repubblica, occorre un proporzionale con sbarramento al 5-6 per cento».
Ma lei è sicuro di superarlo?
«Sì, lo sono. Vorrei ricordare che a Roma siamo il primo partito con il 20 per cento. E c'è ovunque voglia di politica seria e pragmatica. Per quanto riguarda Roma, io resterò in consiglio comunale. Sperando che l'impegno sia conciliabile con quello in Europa. A gennaio farò un bilancio. Intanto, vedo che la giunta Gualtieri è purtroppo quella che immaginavo. Una spartizione tra correnti del Pd e listine».
A livello nazionale, volete scompaginare i partiti. Ma è proprio sicuro che Giorgetti sarà della partita?
«Da questo si vedrà la sua capacità di essere un leader».
Una Lega alla Giorgetti però sarà più nordista e più autonomista di quella di Salvini. Non si tratterebbe di un grave difetto?
«Credo che la stagione dell'autonomismo sia chiusa. Dopo il Covid, c'è grande voglia di compattezza nel Paese. E anche da questo punto di vista, Draghi è una figura di riferimento».