Street art, Sandra Chevrier: «L'urlo delle mie donne per uscire dalla gabbia»

Sandra Chevrier
di Matteo Maffucci
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Domenica 21 Marzo 2021, 18:55 - Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 12:13

Dopo Lucamaleonte e Fin DAC, il nostro viaggio tra i protagonisti della Urban Art continua con Sandra Chevrier, 38 anni, canadese, anche lei esponente di quella forma artistica nata con spirito antisistema che ha poi attirato l’interesse di appassionati e collezionisti di tutto il mondo.

Lavorava come chef in un ristorante di sushi e mai avrebbe pensato di diventare una delle artiste più quotate al mondo. Solo quando è rimasta incinta di suo figlio ha ritirato fuori la sua laurea in Arti visive e ha decido di dedicarsi alla sua vera passione. La storia di Sandra Chevrier, 38 anni, canadese, incarna in qualche modo i suoi personaggi, I Cage Painting (dipinti in prigione) volti femminili che sovrappone sapientemente a volti di supereroi. Sono donne che cercano di trovare la libertà dai preconcetti, di scrollarsi di dosso i ruoli imposti dalla società. Le protagoniste delle sue opere sembrano lanciare grida di battaglia per liberarsi “dalle gabbie” degli stereotipi di genere. I loro volti sono aggressivi, ma anche dolci, impauriti, felici, tristi, capaci di trasmettere forti emozioni senza paura di raccontare la verità.


Quando ha capito che poteva vivere di arte?
«La cosa divertente è che quando ho iniziato a dipingere non sapevo nemmeno che essere un artista potesse prevedere una carriera. L’arte ha sempre fatto parte di me, ho una laurea in Arti visive, ma mi considero un’autodidatta, perché ho imparato osservando e non con lo studio. Dico sempre che mio figlio mi ha dato il coraggio e senza di lui non avrei potuto essere dove sono oggi».


Come ha cominciato?
«Un giorno, mentre dipingevo, ho trovato un vecchio schizzo del ritratto di una donna, e l’ho ripassato con pesanti trame di pittura. Poi un giorno ho trovato un vecchio cassettone Ikea e ho deciso di ricoprirlo con un collage di fumetti, ma il mobile si è rotto e mi sono rimaste dozzine di giornaletti presi al mercatino delle pulci. Così ho ripensato al lavoro esplorato mesi prima: l’idea di sovrapporre i fumetti ai ritratti non è solo esteticamente gradevole, ma ha un forte significato, mi sono detta».


Ci racconta la sua opera d’arte che ha condiviso in anteprima esclusiva con Il Messaggero?
«Si chiama La Cage, l’ombre de ton ombre (La gabbia, l’ombra della tua ombra) è una donna dietro una maschera che le blocca naso e bocca.

La sua voce sembrerebbe essere soffocata, ma io sento il ruggito di una belva che non permetterà a niente e nessuno di ostacolarla. Il supereroe rappresentato sulla maschera cade, e si rialza andando verso una luce. Insomma, fa quello che fanno gli uomini. Questo pezzo sarà presentato alla mia prossima mostra che sarà in autunno a Oslo». 


Come si colloca nel mondo dell’arte?
«Non mi considero una street artist, sono molto più a mio agio da sola in studio con un tetto sopra la testa, pennelli minuscoli, un caffè. Trovo faticoso lavorare sotto un sole cocente, con il rischio che la pioggia rovini tutto. Ma decido di uscire dalla mia comfort zone quando il progetto che mi propongono è interessante. La Street Art permette di parlare una lingua che tutti possono capire».


L’ultima opera realizzata?
«Lo scorso marzo ho collaborato con Shepard Fairey - Obey Giant - a quello che sarebbe diventato il più grande murale ad Austin, in Texas, su un edificio di 12 piani. Ci è stato chiesto di creare un’immagine per commemorare il centesimo anniversario del diritto di voto delle donne. Si chiama La bellezza della libertà e dell’uguaglianza».

 


Negli ultimi anni, i marchi si sono avvicinati agli artisti di strada. Che ne pensa?
«Non ho mai fatto alcun lavoro commerciale, così come non faccio lavori su commissione, apprezzo molto avere libertà e controllo sulla mia arte. Avere vincoli, anche piccoli, mi rende molto nervosa nel lavoro e mi mette a disagio».


Nei volti della serie “La Cage” c’è anche una certa malinconia, come se queste donne fossero schiave di qualcosa.
«Anche i supereroi sono fragili. L’immagine del mantello rosso di Superman piantato nel terreno quando perde la sua battaglia contro Doomsday, è di una bellezza intensa. Siamo umani, uomini e donne, e abbiamo diritto al difetto, all’errore».

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