Rocco Hunt: «Facevo il pescivendolo, così ho pagato il mio primo video. Il successo? Ho pensato di mollare tutto»

Il cantante: "Ho fatto pace con me stesso dopo due anni confusi. Ero in crisi di identità"

Rocco Hunt: «Facevo il pescivendolo, così ho pagato il mio primo video. Il successo? Ho pensato di mollare tutto»
di Luca Uccello
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Lunedì 5 Giugno 2023, 10:04

Rocco Hunt, vero nome Rocco Pagliarulo, è finito pure nella Treccani. Non male per chi a casa viene chiamato ancora oggi "Rocchino". Perché lui, che di professione fa il rapper, a casa «resto sempre il piccolino». I suoi hanno festeggiato i 29 anni di matrimonio e lui è orgoglioso di poter dire che c'era già. Era dentro la pancia di sua mamma. Ma al Corriere della Sera Rocco Hunt racconta anche come lui, professionalmente, è nato. È cresciuto in una casa umida, in una cameretta con il ritratto di Padre Pio. Ma proprio in quella casa «però le canzoni più belle le ho scritte lì, anche Nu juorno buono. Avevo fame di vita, di emozioni, di conoscenze». Suo padre non gli ha fatto mancare niente. Ha fatto quello che ha potuto e Rocco lo ringrazia per questo. Ma sapeva che per fare quello che ha sempre sognato doveva faticare. Doveva pagarselo lui, con i suoi soldi. Guadagnati. Così dai 15 ai 17 anni, in attesa di successo, faceva il pescivendolo nella bottega di zio Franco.

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Il passato da pescivendolo

«Mi svegliavo anche alle quattro di mattina, se c’era il mercato.

E quando uscivo incontravo i miei amici che tornavano dalla discoteca, che invidia. Ma con quei soldi mi sono prodotto il primo video, che in un mese ha fatto 40 mila visualizzazioni su YouTube e alla fine mi ha chiamato la Sony». Se si guarda indietro sa di essere stato fortunato perché «Tanti amici hanno preso una direzione sbagliata e hanno pagato con il carcere o con la vita. La strada avrebbe potuto inghiottire anche me, è stata dura, ma le difficoltà mi hanno dato forza, una marcia in più. La nostra era una famiglia umile ma pulita, di lavoratori. Mi ha salvato».

Al Corsera ricorda poi anche la vittoria a Sanremo giovani, quando era ancora un bambino. Poi nel 2016 con i grandi. «Cantavo “Wake up”, in radio era andata subito forte, ero convinto di piazzarmi tra i primi tre, invece sono arrivato nono, non me lo aspettavo e ci sono rimasto male».

La crisi

Rocco Hunt ha pensato anche di mollare tutto. Anche se oggi confessa che si era trattato solo di uno sfogo: «Ho fatto pace con me stesso dopo due anni confusi. Ero in crisi di identità, non sapevo ancora che la strada presa era quella giusta. Volevo fare rap puro, ma la gente voleva altro. Un sacco di rapper vanno in crisi quando diventano troppo pop».

Forse in pochi lo sanno ma Rocco Hunt disse di no al Napoli... «Sarebbe stato un grandissimo onore scrivere l'inno ma era più giusto che lo facesse un napoletano doc, che se lo sente sulla pelle».

La moglie e il figlio

Nella musica ha tanti amici: da Clementino e Gigi d'Alessio ma anche Jovanotti, fino a Geolier il fenomento del momento. Ma una volta che smette di suonare, di cantare, Rocco torna a casa dalla sua famiglia. Da sua moglie Ada e dal suo piccolo Giovanni.«Con Ada - racconta ancora al Corsera - siamo amici dall’adolescenza, da quando lavoravo in pescheria. Siamo sposati da 6 anni, oddio no, da 7, se mi sente mi ammazza». E «come tutte le donne si è fatta desiderare, le sono stato appresso per due o tre anni. Poi, quando cominciava a cedere, mi sono fatto desiderare io. Ma ho resistito due mesi».

Un amore che lo ha fatto diventare padre a 23 anni. Ed è felice di questo. «Sono fortunato. Giovanni detto Giò Giò a sei anni è un bambino sensibile, educato, per niente viziato, frequenta una scuola internazionale a Milano». Deve solo imparare una cosa: «Non deve spoilerare le mie canzoni in classe. Lui è il mio primo tester...».

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