Leo Gullotta: «Ho subito la censura, dopo il coming out non mi fecero fare una fiction su Don Puglisi»

Parla il popolare attore: "Il Bagaglino è passato"

Leo Gullotta: «Ho subito la censura, dopo il coming out non mi fecero fare una fiction su Don Puglisi»
di Andrea Scarpa
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Domenica 23 Luglio 2023, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 11:27

Non si è fatto mancare nulla, Leo Gullotta. In sessant’anni di carriera, e di vita, ha indossato i panni della signora Leonida del Bagaglino e ha prestato la voce al mammuth Manny dell’Era glaciale. In teatro ha recitato Pirandello, Shakespeare e Goldoni (e tanti altri autori formidabili), e al cinema è stato diretto da Loy, Steno e Tornatore (e Ficarra & Picone, Nichetti, Zaccaro e via elencando). Il suo nome compare in film come Nuovo Cinema Paradiso, Cafè Express e Il camorrista, ma anche Maria Rosa la guardona e La soldatessa alla visita militare. E poi è il doppiatore di Woody Allen, il testimonial di un torrone e mille altre cose. Insomma, di tutto. E al telefono, in vacanza dalle parti del Monte Conero, a due passi da Ancona, fa qualcosa di sorprendente per un attore (altro che vanità): mi corregge quando per sbaglio gli dico che ha 76 anni. «Mi scusi, sono 77».

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E cosa c’è voluto per arrivarci così?
«Curiosità. Studio. Attenzione. E poi amore, incontri e tanti stimoli a cui ho sempre cercato di reagire costruttivamente».

Con più coraggio o incoscienza?
«Né l’uno né l’altro. Il coraggio serve per cose più grandi. E l’incoscienza, no. Bisogna essere sempre “in coscienza”». 

Da ragazzo cosa sognava di fare?
«Non avevo sogni. Erano un lusso. Sono nato al Fortino, un quartiere popolare di Catania, ultimo di sei figli.

Mamma era casalinga e papà pasticciere, che per fortuna ci ha mandato tutti a scuola. Lì, infatti, a 16 anni nei corridoi trovai un manifesto del Centro Universitario Teatrale: sopra c’era scritto che si organizzava un corso di due mesi per dodici allievi. Mi presentai, e anche se ero il più piccolo, recitando l’Adelchi di Manzoni passai la prova d’ammissione. Era il 1961». 

E poi?
«Dopo il saggio mi notò l’uomo a cui devo tanto: Mario Giusti, giornalista che quell’anno portò a Catania il Teatro Stabile e lo diresse per trent’anni con risultati eccezionali. Nel 1962, ero un diciassettenne, e mi chiamò».

E suo padre come reagì?
«Non mi ostacolò. E quando, dopo aver preso il diploma all’Istituto d’Arte, gli chiesi cosa avrei dovuto fare, insegnare o continuare a recitare, mi disse: “Devi fare quello che desideri. Mi dispiacerebbe che mi ricordassi, un giorno, per averti indirizzato verso una scelta lavorativa che non hai mai amato”. Papà era un uomo molto intelligente». 

 

E quanto ci rimase allo Stabile di Catania?
«Dieci anni. Durante i quali imparai tutto: mestiere, regole, rispetto per il pubblico. Una formazione che oggi non c’è più, nella mia come in tutte le altre professioni. Finito tutto, purtroppo».

Gli incontri più importanti?
«Leonardo Sciascia, quando per la prima volta nel 1963 portammo in scena il suo testo “Il giorno della civetta”. E poi Giuseppe Fava, Salvo Randone, Turi Ferro... Dei giganti».

Nel recente libro che ha scritto con Andrea Ciaffaroni, “La serietà del comico”, si cita un articolo del quotidiano La Sicilia in cui c’era scritto che in scena lei «aveva una rabbia in corpo che non si sa da dove gli venga”: da dove veniva?

«Non lo so. Non era vera rabbia, ma voglia di bere e capire la vita, fare la corsa».

E correndo si è perso qualcosa?
«Nulla. O forse qualcosina, ma se stai con i piedi per terra la vita non la perdi e cresci».

Con tutte le cose che ha fatto, ha raccolto il giusto o no?
«Sono a posto così. Ho fatto e faccio tante cose: alcune benissimo, altre meno, ma sono stato fortunato e sono grato alla vita».

Lo straordinario successo degli spettacoli del Bagaglino, in onda prima su Rai1 e poi su Canale 5, lo ha pagato in qualche modo? Popolarissimi, sono stati sempre ferocemente criticati, soprattutto dalla sinistra.
«Per me è stata una bella stagione creativa che ricordo con piacere. E come me anche il pubblico. Oggi c’è uno come Crozza, attore bravo e di esperienza che ha tanto da dire e riesce a farlo»

Si dice che Pierfrancesco Pingitore, autore e regista del Bagaglino, potrebbe tornare in tv con “Il Bagaglione”, mix di vecchi episodi e nuovi da realizzare: che ne pensa?
«Ma nooo... È stato già fatto, ha avuto un successo clamoroso per anni, ma ormai fa parte del passato. E per questo ha un valore: conserviamolo. Punto».

Quindi qualora ci fossero i presupposti per lei non se ne parla di tornare a rifare quello show?
«Nessun presupposto. Non c’è motivo di parlarne. Ci sono tante registrazioni, si può montare una specie di antologia per raccontare quel periodo. Basta».

Da quanto fa la pubblicità natalizia dei torroncini?
«Da ventisette anni. È sempre un piacere...».

Oggi cosa la fa ridere?
«Mah. Oggi si ride malamente, non c’è più l’eleganza di una volta. È tutto superficiale».

Politicamente si sente rappresentato da qualcuno?
«Assolutamente no. È tutto molto confuso. In giro c’è tanto vecchiume».

Lei è sempre stato di sinistra: Schlein non le piace?
«Lei mi sembra interessante. Per fortuna che c’è».

Anche lei pensa che le unioni civili non siano abbastanza?
«Certo che non lo sono, ma quando sono arrivate - con il loro valore di civiltà e democrazia - non potevo, non potevamo, io e il mio compagno, non sottoscriverle. Spero siano una tappa di avvicinamento ai pieni diritti».

Che ne pensa dell’utero in affitto?
«Non si può dire in una frasettina».

Si prenda il tempo che vuole.
«L’utero in affitto esiste, c’è. È un fatto di civiltà nel mondo, perché non regolarizzarlo anche in Italia? Ha altri argomenti vivaci e di giornata?».

Dopo il coming out che lei fece nel 1995 disse di essere stato vittima di una censura che le impedì di fare una miniserie su Don Pino Puglisi: ha subito altri episodi simili?
«La censura continua ancora». 

In generale o per Leo Gullotta?
«C’è ancora. Io osservo e le posso dire che c’è ancora».

Quindi dopo quella per la fiction su Don Puglisi per lei ce ne sono state altre?
«Non mi sembra. A lei ne risultano altre?».

In generale ha conti da saldare con qualcuno?
«No. Sono una persona limpida e non mi lascio niente alle spalle».

C’è qualcosa che non rifarebbe?
«Rifarei tutto. Alcune cose vanno bene e altre vanno male. Bisogna sempre provarci, però, perché se si sta fermi è finita».

Da Serena Bortone su Rai1 poche settimane fa le hanno mostrato il video delle nozze di sua sorella nel 1955, a Catania, con tutta la sua famiglia: cosa direbbe a suo padre se oggi potesse incontrarlo? 
«Gli direi: “Ciao papà, non hai visto niente di me. Che te ne sembra?».

E del futuro, che gliene sembra?
«Grazie al cielo si lavora. Il 25 luglio sarà online su Amazon Prime Video il film So tutto di te di Roberto Lipari. E poi sono sereno. ».

E non c’è uno sfizio che vuole togliersi, prima o poi?
«Me ne sono tolti un bel po’. Spero solo ce ne siano altri».

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