Tremonti: «La dottrina Trump nei Paesi arabi la chiave per fermare il terrorismo»

Tremonti: «La dottrina Trump nei Paesi arabi la chiave per fermare il terrorismo»
di Alberto Gentili
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Martedì 23 Maggio 2017, 21:38 - Ultimo aggiornamento: 24 Maggio, 00:06
Professor Tremonti, lei è stato l’unico italiano a partecipare all’insediamento di Trump. Come vede la tappa del presidente americano a Roma?
«Vedo un’asimmetria, tra la narrazione che si è fatta e si fa dell’amministrazione americana e la realtà. La realtà si sta sviluppando in linea con il programma dell’amministrazione ed è sintetizzabile in un punto fondamentale: non è la fine della globalizzazione economica, ma la fine dell’ideologia della globalizzazione».
Vale a dire?
«La nuova Casa Bianca marca una rottura di continuità, la chiusura di una fase che è partita con la seconda presidenza Clinton, è passata attraverso l’ingresso dell’Asia nel Wto, e nell’esplosione della crisi. In questa lunga fase, durata più o meno un quarto di secolo, l’ideologia della globalizzazione per opera di èlite influenti “illuminate” e “benevole” ha costruito una cattedrale, la cattedrale di una nuova religione pagana, con dentro due tabernacoli. Il primo era un progetto di ingegneria sociale: costruire l’uomo nuovo. E un progetto di ingegneria politica: disegnare il mondo nuovo. L’uomo nuovo era disegnato secondo una logica politically correct, rimuovendo il passato, le tradizioni, i costumi e le origini. Un uomo nuovo a taglia unica che consuma per esistere ed esiste per consumare. L’archetipo ideale per il mercato».
E il mondo nuovo?
«Se l’uomo nuovo era nella logica polically correct, il mondo nuovo era basato sul responsability to protect. Era l’idea di esportare la democrazia come se fosse un prodotto istantaneo, non un processo. Esportabile come un Mcdonald. Credo che il processo sia andato in crisi e la cattedrale si stia sgretolando. Non solo in America con l’elezione di Trump, ma anche in Medio Oriente e in Europa con la Brexit e il “tumulto” dei popoli. Non è vero che in Europa dopo l’elezione di Macron è tutto tranquillo e pacificato, tant’è che il nuovo presidente ha detto di non poter ignorare la collera del popolo, marcando una differenza tra populismo e popolo. Della serie: puoi anche demonizzare il populismo, ma non può ignorare il popolo che è in “tumulto” perché troppo ampie sono le masse di giovani e anziani in grave difficoltà».
Qual è la risposta di Trump?
«Per cominciare sul primo tabernacolo, una massiccia ed estesissima deregolamentazione economica e lo stop all’ingegneria sociale. L’ultimo anno di Obama è stato lungo 80 mila pagine di nuove regole. L’uomo nuovo era quello che negli edifici federali deve trovare tre toilette: maschi, femmine e gender. Non solo. L’amministrazione americana non pretende più di esportare la democrazia, ma rispetta tradizioni, usi e costumi degli altri Paesi».
Con impegno comune però contro il terrorismo.
«Questo c’era già allora e c’è adesso. La novità è nella rinuncia all’esportazione della democrazia che è esattamente lo spirito della Carta Atlantica, dove vengono definiti i principi di democrazia come forma superiore di vita civile e politica. Ma non c’è affatto l’idea di esportarla».
Sta dicendo che Trump va alle origini dell’atlantismo?
«Le faccio notare che Patria deriva da pater ed è la terra dove riposano le ossa degli avi. Quindi rispetto per tradizioni e culture che, seppure diverse, sono millenarie. Guerre e conflitti, rivoluzioni arabe sostenute e irradiate sull’onda del web, hanno causato disastri umanitari e hanno generato il terrorismo».
La pretesa di esportare la democrazia avrebbe innescato il terrore?
«C’è un libro fondamentale, la “Teoria del partigiano”, scritto nel 1962 da Carl Schmitt: “Nella nuova unità del mondo emergeranno nuove figure di “partigiano”, scrive Schmitt. E termina anticipando l’evoluzione del terrorismo che trova una nuova “patria” che può essere tanto politica quanto religiosa. Non si possono calpestare territori, religioni e costumi tentanto di esportare la democrazia, senza pensare che non si determino terribili conseguente».
Oggi Trump incontrerà il Papa, Mattarella e Gentiloni e tutti e tre, in vista del G7, cercheranno di convincerlo ad abbandonare il protezionismo. Pensa che riceveranno ascolto?
«Non è vero che la nuova amministrazione americana è protezionista. Come si dice a Washington money is a religion. Se cade la globalizzazione ideologica, nessuno pensa di fermare la globalizzazione economica. E questo anche perché i confini non attraversati dalle merci, finiscono per essere attraversati dagli eserciti. Dunque, non vedo e non prevedo fenomeni di protezionismo. Invece esiste la volontà di ristabilire le condizioni del mercato, che non è assenza di regole. La nuova amministrazione Usa al massimo è “mercantilista”: una forte concentrazione sull’economia americana con la rimozione di asimmetrie come il dumping».
C’è stato un abbaglio anche sulla Nato e sull’Europa?
«Credo di sì. L’amministrazione Usa ha chiesto di aumentare i contributi nazionali, proprio perché crede nell’Alleanza atlantica. Riguardo all’Europa sono convinto che la Casa Bianca privilegerà i rapporti bilaterali rispetto a quelli multilaterali».
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