Spot post elettorale: tutti a piedi al Colle la rincorsa dei leader

Spot post elettorale: tutti a piedi al Colle la rincorsa dei leader
di Mario Ajello
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Venerdì 6 Aprile 2018, 00:06
L’arte del governo, o almeno quella delle consultazioni, è diventata un reality show del cosiddetto gentismo. Noi siamo come la “ggente” e dunque abbasso l’autoblù che fa casta, anzi kasta. Se non sei Gandhi con i sandali (almeno virtuali), se non marci lacero e sudato come nel Quarto Stato di Pelizza da Volpedo, non meriti di avere l’incarico da Mattarella. Che è un tipo sobrio, ma non demagogico, e di queste cose naturalmente se ne infischia. Ma i politici pedoni, no: stanno attenti a salire e a discendere dal Quirinale rigorosamente sui propri polpacci. Come se le gambe - ora che stanno per scadere anche i vitalizi - fossero rimasti l’unico appannaggio del potere tollerato nell’età del pauperismo. 
Il viso dei quattro dem in delegazione nello studio alla Vetrata - Martina, Delrio, Marcucci, Orfini - era pallido ieri a causa della batosta politica presa il 4 marzo e ancora dolorosa ma la fatica etico-politica di dover camminare a piedi, non nudi però ma neanche ricoperti di scarpe da jogging, verso l’appuntamento con il presidente, non ha aiutato la loro forma fisica e il loro colorito. Parevano stremati lassù sul Colle. E Di Maio? 

MANCA LA FUNIVIA
A un certo punto, nella discesa in corteo a caccia di effusioni pop che ha puntualmente ricevuto («Giggino, non ti mischiare a quei ladroni del centrosinistra e del centrodestra!»), il grillino presidenziabile guarda passare un taxi a via del Corso e sembra preso da nostalgia. Ma non può saltarci sopra. Dopo che Fico, forse per sopperire all’assenza di funivie a Roma nonostante le promesse della sindaca, ha inaugurato le scalate sul Colle - in realtà imitando Laura Boldrini, la presidente della Camera che nel 2013 arrivò a piedi dal Capo dello Stato - l’amico-rivale Giggino s’è dovuto privare di qualsiasi veicolo. E la scorta con lui a sudare in salita e (un po’ meno) in discesa. Lungo la quale, a un certo punto, all’altezza della Galleria Sordi, uno dei poliziotti che lo accompagnano si lamenta: «Mi stanno a veni’ li calli!». Vorrebbe farsi sorreggere da qualche fan grillino - una decina di loro fungono da corona a Gandhi-Giggino e godono: «Bella questa camminata democratica» - ma non si può. 

LA GENTE DI SCORTA
Quello che disse Renzi quando mostrava di disdegnare l’autoblù e al massimo s’accontentava di un passaggio in Smart - «La mia scorta è la gente» - valse per poche settimane. Stavolta questo principio non è destinato a durare molto di più, ma vedremo. Nel frattempo, dopo la rottura del mainstream rappresentata dall’arrivo sul Colle del presidente Elisabetta Casellati in vettura senatoriale, il solo Berlusconi ha avuto il coraggio - oltre la necessità: essendo ottantunenne - di insistere nell’uso demoniaco dell’autoblù. La berlina ha fatto il suo ingresso nel cortile del palazzo che fu dei papi, e sono scesi in tre, proprio davanti al portone interno che porta allo studio alla Vetrata: Silvio, la Bernini e la Gelmini. Una volta uscito dall’auto, il Cavaliere non si smentisce: «Sono beato tra le donne». Poi, al termine del colloquio con Mattarella, la macchina accoglie di nuovo il terzetto - mentre Salvini con Centinaio e Giorgetti si stanno inerpicando a piedi - e davanti agli sportelli aperti si svolge questa scenetta. Chi dei tre siede al posto davanti, accanto all’autista? Berlusconi, naturalmente. Ma lui non vuole. «Dai, Mariastella, vai tu avanti». «Ma Presidente, ma figuriamoci...».

«E tu, Anna Maria, non stai più comoda davanti?». Anche la Bernini cede il posto al Cavaliere. E l’auto parte con loro due dietro e lui sul sedile del navigatore. Anche se non si tratta di un rally, anzi. Chi ha il coraggio di usare ancora l’autoblù sembra volerla fare procedere con lentezza - ritmo adatto a quello delle consultazioni il cui motto mattarelliano è «prendere tempo per guadagnare tempo» - per non dare troppo nell’occhio al tempo del format Fico. Anche se in realtà, come s’è detto, la camminata da consultazione la inaugurò la Boldrini e dunque si tratta di un’usanza pre-grillina ma ora è diventata una moda egemone e trasversale. E’ fatta apposta per ricevere il plauso dei cittadini, che spesso però ostentano un plateale disinteresse nei confronti del politico-pedone. Ma così non è stato in un piccolo episodio che ieri ha riguardato Salvini. Il leader leghista sta facendo la sua discesa - per arrivare da qualche parte e togliersi la cravatta che gli dà fastidio ma ieri l’ha dovuta sopportare e davanti alle telecamere ha anche detto: «Avete visto? Oggi me la sono messa» - e due finti centurioni lo vedono passare alla fine di via della Dataria. E uno chiede all’altro: «Chi è questo tizio? Mi sembra di averlo visto in televisione...». Risposta: «Mi sa che è quello che vuole cacciare i clandestini». «Sì, è lui. Che bravo. Basta con gli stranieri». Peccato che i due centurioni, a giudicare dall’accento, più che romani sono rumeni. 

LE CIME DI LAVAREDO
Salvini con i suoi due capigruppo è partito dalla Camera ma ha sbagliato strada. Invece di salire da dietro fontana di Trevi, il drappello s’avvia lungo via del Tritone, Piazza Barberini, via Barberini, poi gira a destra su via XX settembre ma guai a tradire qualche segno di fatica o qualche ombra di sudore, sennò i romani sono già pronti a ironizzare rivolti ai lumbard non più completamente lumbard: «A fraciconiiii!». Niente di tutto questo, ma Centinaio - che pure è dimagrito - si lamenta scherzosamente: «Sembra di scalare le cime di Lavaredo». Ma allo stesso tempo è contento: «Ci salutano tutti. E pensare che prima, nelle strade di Roma, ci prendevano a pernacchie». Poi un sano proposito unisce il terzetto leghista: «Al ritorno, cambiamo strada». Così è stato. E quando Salvini è arrivato a valle s’è tolto felicemente la giacca. 

IL PASSO GAGLIARDO
Dritta alla meta, da romana che conosce Roma, Giorgia Meloni a sua volta a piedi sul Colle l’altro giorno, quando si sono aperte le consultazioni. E ha mostrato capacità e destrezza nel camminare su tacchi molto alti, tra sanpietrini e pozzanghere. Con lei, nella delegazione dei Fratelli d’Italia, c’era Fabio Rampelli: dal passo gagliardo. 
Il rischio, se i giri di consultazione si moltiplicheranno troppo e si attorciglieranno oltremodo, e così parrebbe proprio, è che i politici-pedoni dovranno - e su e giù, e su e giù, e su e giù e occhio alle scale e attenti a non inciampare in un piccione morto - percorrere decine di chilometri prima che si trovi la soluzione politica buona per tutti. Il che però potrebbe essere anche un vantaggio. E ispira una domanda rispettosa ma politicamente scorretta: non è che Mattarella prenderà per stanchezza, grazie alla fatica delle passeggiate continue dei capi partito, i suoi interlocutori e così l’appiedamento si trasformerà da frenesia populistica a soluzione politica? 

 
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