Resistere a paura e psicosi, manuale al tempo dell’Isis

Resistere a paura e psicosi, manuale al tempo dell’Isis
di Mario Ajello
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Sabato 21 Novembre 2015, 14:38 - Ultimo aggiornamento: 19 Novembre, 00:36
dal nostro inviato

PARIGI Nel film «Timbuktu», che avrebbe dovuto vincere l'Oscar lo scorso anno, gli jihadisti stabiliscono questa legge appena conquistano con i mitra un piccolo paesino del Mali: è vietato il calcio, è vietata la musica, è vietato conversare al bar. E così è stato in quella che non vale soltanto come finzione cinematografica. Noi non ci ridurremo in questa maniera, nell'Occidente in preda al terrore, e lo stile di vita occidentale non si farà annichilare da ciò che i terroristi vorrebbero che diventassimo. Dei pentiti e dei rinnegati della cultura della socializzazione che coincide con quella della civilizzazione ormai da tanti secoli.

DAGLI STADI ALLA MOVIDA

Ma le partite di calcio saltano (è accaduto per Germania-Olanda), gli stadi sono vuoti, la programmazione dei concerti è quasi azzerata nella Parigi in queste settimane (e nelle prossime?) dopo la carneficina del Bataclan, e i caffè e i ristoranti della movida nella capitale francese si sono ripopolati ma tutti tra un croissant e un cocktail si guardano intorno - come si farebbe e magari si farà in qualsiasi altra città europea al tempo della guerra - con una buona dose di inquietudine e con una domanda espressa e inespressa: «É giusto che io sia qui? Non me la sto cercando?». E poi ci si sforza di chiudere la serata un po’ prima di quanto accadeva fino a venerdì scorso.



Un iniziale cambio di abitudini, all'epoca dell'Isis che si gloria di averci colpito nei nostri piaceri che sono forma di quella conoscenza che loro temono, è che si torna a casa più presto, perché la notte che nei secoli del medioevo era considerata infrequentabile da parte dei fanatici - che però allora erano cattolici - rischia di ridiventare per colpa dei nuovi oscurantisti qualcosa da evitare.

Ma tutto questo è un dramma e una grande castrazione della libertà? Oppure modificare le proprie abitudini è una opportuna presa di consapevolezza che i tempi sono cambiati ed é inutile fingere che non sia vero, minimizzando - come troppo mainstream sta facendo - la sfida che è stata lanciata e l'esigenza di fronteggiarla che si impone dal punto di vista politico e culturale oltre che comportamentale?



La libertà si afferma quando essa stessa decide di sacrificare un pezzo di se stessa in nome della sicurezza. L'adattabilitá sociale, senza rinuncia dei valori, anzi come risorsa per mantenerli e ribadirli sempre di più e sempre meglio in un confronto culturale in cui nulla va concesso al nemico, è una di quelle caratteristiche delle democrazie che la rendono più forte e più difficile da sconfiggere da parte del dogmatismo e della rocciosità ideologica e criminale che si è impossessata di una parte dell'Islam. E allora dobbiamo cambiare le nostre abitudini quotidiane?



Perché no, se siamo capaci di farlo nella maniera giusta o in quella che le circostanze del momento suggeriscono, magari cambiando la modalità dei nostri consumi senza rinunciare ai consumi?

I minimizzatori come ci sono a Parigi e come ci sono ancor più nell'Italia inconsapevole o fatalista (quelli del non cambia niente, perché le stragi ci sono sempre state e la vita è sempre ricominciata) negano che qualcosa stia accadendo e che possa accadere nella coscienza collettiva e nelle scelte personali e quotidiane delle persone. Ma si sa: lo snobismo vede il mondo dalle terraces, come le chiamano qui in Francia, finché non vengono a loro volta bombardate.



La specie umana di quelli del me ne infischio, ossia il mio stile di vita non cambia, tanto se qualcosa deve succedere succede, non danno alcuna importanza al fatto che per altri non vale lo stesso atteggiamento di sicumera. Tanto è vero che ieri l'udienza del mercoledì del Papa ha fatto registrare la metà delle presenze abituali.



E Francesco sta capendo che un Giubileo da celebrare nell'Europa terrorizzata pone dei problemi e delle paure collettive cui evidentemente non si era pensato abbastanza quando l’evento venne annunciato.



Poi ci sono quelli che, sulla base della consapevolezza che tutto è cambiato, sanno e per realismo accettano di dover cominciare inevitabilmente a modificare le proprie abitudini quotidiane. Esempio: appena vedi un militare in tenuta di guerra che controlla la metro, cerca di stare accanto a lui, come hanno fatto in tanti ieri a Parigi mentre nella banlieue a Saint-Denis accadeva l'inferno. Altro esempio: gli ingressi in metro sono calati in questi giorni del 38% e la società dei trasporti parigina non crede a un recupero degli utenti quando tornerà la normalità perché la normalità che gli europei si accingono a vivere da qui in poi sarà chiaramente una normalità anomala, rispetto ai crismi in vigore finora ma che possono cambiare senza lagne retoriche.



ESISTENZA BLINDATA

La terza tipologia degli europei al tempo del terrore è quella che comprende coloro che non vorrebbero sconvolgere la propria vita e modificare le proprie abitudini, ma è evidente che la situazione li spinge a pensare cose che non avrebbero pensato mai. Del tipo: perché devo andare a vedere quel film sulla jihad che critica i fondamentalismi e guarda caso uno di questi, Made in France, è stato appena posticipato nella sua uscita nelle sale e dalla locandina è stato tolto il mitra? Oppure: i bambini a Disneyland li porto o no? Forse è meglio di no? Sicuramente è meglio di sì, ma assicurandosi che le condizioni di sicurezza ci siano e sforzandosi di capire che non si può più vivere nell'incoscienza.



I cittadini, tutti, sono chiamati a ricalibrare le proprie abitudini. Molti di loro sanno, anche inconsapevolmente, che la democrazia sopravvive soltanto se non si fossilizza nelle proprie pratiche e senza rinnovare il proprio spirito, anche nelle piccole scelte individuali. Come quella di pianificare una serata tra amici che sia piacevole e sicura.

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