La Roma feroce di Belli

La Roma feroce di Belli
di Alessandro Barbero
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- Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 10:59

Vogliamo dire «è tutto un magna-magna»? Il popolano del Belli lo dice e lo crede fermamente. «Cqua mmaggna er Papa, maggna er Zagratario / de Stato, e cquer d’abbrevi e ’r Cammerlengo, e ’r tesoriere, e ’r Cardinàl Datario...». Tutti rubano, il clero che vive a sbafo e il governo deruba i sudditi. Il ritratto dei furbetti che comandano è di un'attualità spaventosa.
Tutti li conoscono. Per esempio c'è Gaetanino, ovvero “il cavaliere Gaetano Moroni”, già barbiere del papa quando era solo un frate, ora «primo aiutante di camera», che gli fa fare tutto quello che vuole e ha arricchito tutti, parenti amici e complici. In un sonetto parla suo padre, che usa ubriacarsi all'osteria insieme al figlio minore, soprannominato Tuttibbozzi, «Imbianchino di professione si è veduto innalzato alla dignità di pittore de’ Palazzi Apostolici, tenuta in peggiori tempi da un certo Raffaello di Urbino».
Ma non c'è solo la corruzione. Il papa è un re, e governa: e governare significa tasse, gabelle, editti, galera, forca e ghigliottina. Il papa è re, e dei re il romano ha un'idea molto precisa.

SONETTO
È un sonetto famosissimo, io l'avevo sull'antologia a scuola. Si intitola “I sovrani del mondo vecchio” e fa coppia con quello che lo precede, “L'ommini der monno novo”, che sono i massoni, i liberali, che vogliono buttar giù i re: ma il romano non ci crede, i re sono lì per sempre. E la loro presenza nella vita della gente si materializza in un termine che per il romano ha un'eco sinistra: il governo. Per il romano questa parola indica tutto ciò che lo opprime e che incarna l'ingiustizia, l'arbitrio e la corruzione. Nella forma più bieca, il governo è la polizia: il sonetto intitolato “La visita del governo” descrive una perquisizione a casa di un poveraccio. 
Il governo è presentissimo nell'immaginario, e non si fa che parlarne male: il governo assassina il popolo, lo schiaccia con gli editti e le gabelle, ma a pagare sono sempre gli stessi: i ricchi possono fare tutto quello che vogliono, i poveri - gli sciorcinati - hanno sempre torto: «Er ricco ssciala, er ciorcinato stenta: / strilli ggiustizzia, e ggnisuno risponne; / e ppoveretto lui chi sse lamenta». 

PRETI
E questo, il romano lo sa, è vero di tutti i governi. Ma quello di Roma è un governo speciale: è il governo dei preti. È difficile esprimere l'odio che il romano prova per i preti, in quanto sono quelli che comandano. A Roma si vive sotto l'occhio dei preti e si deve sempre stare attenti, perché sanno tutto e possono tutto. Anche questo è qualcosa che c'è solo a Roma: una casta dirigente che ha a disposizione tutti gli strumenti della monarchia assoluta, gli sbirri le spie la galera e la ghigliottina, ma per di più, siccome è una casta ecclesiastica, ha anche il controllo della morale, s'intromette nelle case, giudica tutti i comportamenti, non solo quelli criminosi, e quindi rispetto a un altro governo dispotico, il peso è doppio.
L'altro motivo per cui il romano detesta i preti è che la maggior parte arrivano da fuori Roma, sono burini, provinciali, quasi "todeschi" come Gregorio XVI che è di Belluno, ma appena arrivano a Roma cominciano a mangiare alle spalle dei romani veri. 

MANGERIA
Questa immensa mangeria è incarnata dal fisco, la camera apostolica, che per scherzo Belli chiama la camera apoplettica, che è raffigurata come una prostituta che apre le gambe a tutta questa genìa di marmotte, di preti venuti dal Nord al seguito di Gregorio, perché anche al loro paese si è sparsa la voce, che a Roma per chi sa infilarsi nel buco giusto è sempre carnevale. 
 
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