La jihad a un passo dall’Italia: prove di califfato nei Balcani

La jihad a un passo dall’Italia: prove di califfato nei Balcani
di Marco Ventura
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Martedì 9 Agosto 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 10 Agosto, 11:04
Sacche di Jihad in Europa, sulla porta di casa nostra. In villaggi e quartieri di Bosnia, Kosovo, Albania e del Sangiaccato serbo, la sharia è legge, la poligamia è l’uso, l’alcol proibito, le donne hanno il velo e se un kamikaze si fa esplodere in Francia o Belgio, una bandiera nera sventola alla finestra ed è festa per musulmani salafiti e wahabiti. Alcuni sono veterani o figli di veterani forgiati dalle guerre jugoslave degli anni ’90, radicalizzati ancora di più col subentrare dell’Isis a Al Qaeda e lautamente foraggiati dai Paesi del Golfo, come ha provato una recente inchiesta del “New York Times”, oltre che sostenuti da decine di organizzazioni “umanitarie” islamiche. I legami tra i figli Allah nei Balcani, le scuole e banche saudite o qatarine e i territori del Califfato di Siria e Iraq, sono il contrappasso dello scontro coi cristiani serbi e croati nel ’92-‘95. Centinaia di foreign fighter partiti verso le terre del Califfo discendono dai mujaheddin accorsi durante l’assedio a Sarajevo in difesa dei correligionari. Nel mirino dei nostri 007 europei è la “trasversale verde”, corridoio balcanico tra Albania, Kosovo e Sangiaccato fino al nord della Bosnia, nel quale i combattenti del Jihad fanno la spola, andata e ritorno, verso la Siria, e al contrario verso l’Europa occidentale.

LE ROTTE
Ma sono queste anche le rotte dell’immigrazione, e dei traffici di armi. Abbiamo la memoria corta. A Bijelina, al confine tra Bosnia e Serbia, si camminava nel ’92 sui calcinacci della moschea fatta saltare dai cetnici serbi (cristiani ortodossi). Le fosse comuni nell’enclave musulmana di Srebrenica testimoniano la vergogna dei caschi blu europei, che non si opposero al genocidio. E in Svizzera, durante i colloqui che avrebbero portato agli accordi di Dayton, circolavano emiri, emissari dei Paesi del Golfo, con assegni e conti correnti ai quali attingere per difendere i fratelli musulmani a Sarajevo.
 
Oggi, quel mondo musulmano jugoslavo moderato e laico arretra davanti all’integralismo radicalizzato che non dimentica la bonifica etnica. La storia si vendica. L’Uck, esercito musulmano kosovaro che combatté contro i “tigrotti” di Arkan, ha seminato germi di Jihad. E sentenze del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia hanno certificato decapitazioni di soldati serbi a opera dei “berretti verdi” musulmani (alcuni prigionieri furono costretti a baciare le teste). Non stupisca che in uno dei primi video diffusi dall’Isis, un gruppo di guerriglieri kosovari minacci di conquistare Roma e al termine di una feroce apologia della guerra santa, infilzi con le lame i propri passaporti. Del Kosovo.

I SERVIZI SEGRETI
L’intelligence italiana punta l’indice sui Balcani. Imam come Shefquet Krasniqi della grande moschea di Pristina, capitale del Kosovo, ma anche di Pec e Mitrovica, hanno tollerato o promosso il reclutamento di foreign fighter. Imam macedoni a Skopje sono collegati con Arabia Saudita e Egitto. Il predicatore Shukri Aliu è fuggito dalla Macedonia in Kosovo e un reclutatore come Idriz Bilibani ha dato vita a una rete italo-kosovara tra Siena, Bosnia e Sangiaccato serbo. Villaggi kosovari come Restelica (musulmani sunniti che parlano dialetto serbo) proiettano i loro tentacoli propagandistici fino a Siena. In Bosnia, i combattenti dell’ex battaglione islamico “El Mujahid” integrato nell’esercito bosniaco nel ’93, non sono più tornati nei paesi d’origine, mentre 1300 jihadisti ottennero la cittadinanza bosniaca e si insediarono attorno a Zenica, occupando le case abbandonate dai serbi.

LE REGOLE
La sharia regna in villaggi come Gornja Maoca, quello delle bandiere nere dell’Isis nel distretto di Brcko. E dal carcere non cessa di irradiare odio Husein Bosnic “Bilal”, arrestato e condannato a 7 anni a Sarajevo per “reclutamento di persone della comunità salafita”. Sue tracce sono state ritrovate tra Svezia, Austria, Slovenia ma anche in Italia (Roma, Cremona, Bergamo e Pordenone). Altra sacca jihadista quella di Bihac, nord-ovest della Bosnia al confine con la Croazia. Attive a Kacanik nel Kosovo organizzazioni estremiste come Parimi e Rik. E non a caso uno dei capi dell’Isis in Siria, ex collaboratore della missione NATO Kfor nei Balcani, è Lavdrim Muhaxeri, che si è fatto riprendere mentre decapitava prigionieri. Campi d’addestramento per jihadisti sarebbero nascosti tra le montagne della Bosnia di sud-est, al confine col Montenegro. Ed è un fatto che Albania, Bosnia e Kosovo compaiono nella top ten dei Paesi europei culle di foreign fighter.

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