Guerra Ucraina, i timori del generale Farina: «Serbia vicina alla Russia, rischio riapertura fronte balcanico. Non riportare l'orologio indietro di 15 anni»

L'ex comandante della missione KFOR in Kosovo: «Rimettere mano al dossier per l'accesso dei Paesi dell'area in Europa»

Guerra Ucraina, i timori del generale Farina: «Serbia vicina alla Russia, rischio riapertura fronte balcanico. Non riportare l'orologio indietro di 15 anni»
di Ebe Pierini
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Giovedì 10 Marzo 2022, 14:25 - Ultimo aggiornamento: 22:16

Al di là dell'Adriatico, nei Balcani occidentali, si guarda con attenzione e grande preoccupazione a quanto sta accadendo in Ucraina. La paura è che il conflitto con la Russia possa portare a delle ripercussioni anche in quelle terre e che si possano riaprire ferite anche recenti. La Serbia ha votato a favore della risoluzione Onu contro la guerra in Ucraina ma non ha aderito alle sanzioni internazionali e c'è chi a Belgrado scende in piazza per manifestare a favore di Putin a dimostrazione dello storico legame con la Russia.

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Dall'altro canto il Kosovo, preoccupato per la sua indipendenza, ha chiesto l’istituzione di una base militare permanente e l’ingresso nella Nato assieme alla Bosnia Erzegovina. Il generale Salvatore Farina, che è stato comandante della missione KFOR in Kosovo, del comando Allied Joint Force Command di Brunssum e Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, propone un’analisi della situazione attuale considerando possibili risvolti futuri.

 

Generale ritiene che la guerra tra Russia ed Ucraina possa avere strascichi e conseguenze e possa infiammare anche i Balcani? Sono a rischio gli accordi di Dayton per via di alcune fibrillazioni interne anche alla Bosnia Erzegovina?
«La crisi in Ucraina ha sicuramente dei riflessi su tutta l'area europea.

Una particolare attenzione va rivolta ai Balcani dove, già dallo scorso autunno si erano accesi i riflettori sulla Bosnia in quanto, in Repubblica Srpska, il leader Dodik ha annunciato di non voler più partecipare alla formazione delle Forze Armate, per formare un esercito autonomo serbo e la creazione di un sistema di amministrazione per la riscossione delle imposte. Si tratta di una crisi già in atto prima della guerra in Ucraina. Il rischio è quello di portare l'orologio indietro di 15 anni. Non è possibile dire oggi cosa succederà. Dobbiamo agire per fare in modo che questo non avvenga. Ritengo che l’Unione Europea dovrebbe di nuovo mettere mano al dossier per l'accesso di Albania, Bosnia – Erzegovina, Serbia, Montenegro, Nord Macedonia e Kosovo in Europa. Sarebbe un completamento dell'area europea sotto l’Unione Europea. Occorre fare un bilancio tra il rischio di perdere uno di questi Paesi per sempre e farli entrare anche se non posseggono ancora tutti i requisiti».

 
La Serbia, forte dell'azione militare russa in Ucraina, potrebbe minacciare l'indipendenza e l’autonomia del Kosovo?
«Le tensioni ci sono. La Serbia ha mostrato un atteggiamento di vicinanza alla Russia. Ci sono state manifestazioni di piazza a favore di Putin. Non si dimentichi inoltre che il presidente serbo Aleksandar Vucic è candidato alle prossime presidenziali. Fare previsioni è difficile ma occorre interviene in maniera tempestiva e attraverso il dialogo tramite Unione Europea e Paesi come Germania e Italia. Occorre evitare i tentativi di fomentare. In Kosovo c'è una realtà consolidata. C'è in atto la missione Nato KFOR dal 1999 con una presenza militare che è passata da 50.000 uomini ai 3.800 attuali che rappresenta una garanzia per i kosovari e per la minoranza serba. Escludo che la Serbia voglia minacciare il Kosovo e non penso che sia un'evenienza che possa accadere nella situazione attuale. Occorre evitare le provocazioni e le escalation di dichiarazioni». 


Come valuta la possibilità che Bosnia Erzegovina e Kosovo entrino nella Nato?
«Si tratta di un'ambizione non opportuna al momento. Una richiesta di questo tipo potrebbe essere vista come una provocazione. Può essere una richiesta lecita a lungo termine ma che non può essere messa in agenda ora. Prima va ricomposto il rapporto tra Serbia e Kosovo». 


Ritiene che la Nato possa o debba fare di più in merito al conflitto in corso oppure abbia scelto la via più saggia per non essere trascinata in un conflitto mondiale? 
«La Nato ha agito molto bene. A seguito dell'occupazione della Crimea e della situazione nel Donbass l’Alleanza Atlantica ha rafforzato la presenza in segno di solidarietà nei confronti di 3 Paesi baltici e Polonia per rafforzare le loro forze armate e in quanto non dotati di una adeguata aeronautica. La Nato ha messo in campo le giuste azioni che non sono provocatorie. Le sue forze sono schierate in precise aree addestrative. È stata una giusta decisione quella di non autorizzare una no fly zone per evitare una escalation». 


Quale può essere la via d'uscita?
«Ne usciamo solo ricorrendo ad una conferenza di pace che affronti tutti i nodi. Prima si deve addivenire al cessate il fuoco, si deve salvaguardare la popolazione che sta soffrendo tantissimo. Non deve essere uno sforzo one to one ma deve coinvolgere tutti i Paesi che abbiano a cuore la pace e soprattutto le grandi potenze come Cina e India». 

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