Grossman, dolore privato di un cabarettista tragico

Grossman, dolore privato di un cabarettista tragico
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Sabato 15 Novembre 2014, 06:14
FRAGILITÀ
Ci sono scrittori - pochissimi - che riescono a sorprendere sempre, che non mettono il pilota automatico e rilanciano, alzando la posta. Così, il già solidissimo e celebrato autore israeliano David Grossman, sessant'anni, torna in libreria dopo l'imponente A un cerbiatto somiglia il mio amore e l'intenso, lirico Caduto fuori dal tempo, sul figlio perso nell'ultima guerra del Libano, con Applausi a scena vuota. Sorprendente fin dal titolo originale, Un cavallo entra in un bar, che è l'inizio di una barzelletta: Grossman dà voce a un cabarettista di mezza età; ascoltiamo il suo monologo in un locale di provincia, a Netanya. Dova'le suda sul palco, cerca di far ridere il pubblico, a tratti ci riesce, a tratti meno, e questo rischio di fallimento Grossman sa raccontarlo in modo straordinario, ci fa sentire tutta l'ansia del povero Dova'le, il suo batticuore, le strette allo stomaco quando la gente davanti a lui perde la pazienza, si raffredda, protesta.
L'AMICO
In platea c'è un amico di infanzia del protagonista, è stato proprio Dova'le a volerlo lì, ma l'uomo non sa perché. Lo capirà nel corso della serata, via via che il cabarettista perde il filo del suo copione consueto e inizia a raccontare un pezzo della propria vita, molto più tragico che comico. Il più degli spettatori abbandona la sala, pochi hanno voglia di ascoltare, ma Dova'le insiste a svelare questo pezzo di sé, un'esperienza da ragazzo in un campo di addestramento militare, là dove il destino di un paese eternamente in guerra diventa una questione di gesti, anche minimi. Dal racconto inatteso di Dova'le affiora anche un enorme dolore privato, una perdita senza rimedio, che acquista contorni più precisi con il passare del tempo, ora, sul palco, e allora, nella vita. Il buffone di oggi, il bambino che camminava a testa in giù per vedere il rovescio delle cose, mette a nudo la sua fragilità, la sua paura. Svela, su un piano personale e insieme assoluto, l'altra faccia del comico, che è sempre più complessa di una risata, di un lazzo, e se riesce a coprire il dolore, a far tirare il fiato, non per questo lo cancella. Grossman ha scritto un libro bellissimo, ipnotico, sull'attrito fra le tragedie, personali e collettive, e la vita che comunque va avanti, sulla difficoltà di mettersi nei panni altrui - l'unico modo per salvare l'umano, su come tutto si confonde, il pianto e il riso, una piccola inossidabile speranza anche nel più terribile e prolungato dei lutti.
Paolo Di Paolo
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