Welfare, più flessibilità in azienda per le dipendenti

Welfare, più flessibilità in azienda per le dipendenti
di Maria Lombardi
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Mercoledì 30 Settembre 2020, 11:41 - Ultimo aggiornamento: 1 Ottobre, 09:35
Il dilemma delle mamme. Resisto, anche se i turni sono un massacro, l’asilo nido non c’è o costa troppo, i nonni meglio proteggerli e a fine serata ci sono anche le camicie da stirare perché altrimenti chi ci pensa. Oppure mollo, perché questo non è un Paese per madri lavoratrici. Una su quattro molla alla nascita del primo figlio, schiacciata da un carico difficile da sostenere. Si calcola che dieci milioni di donne (ossia il 41%) in un decennio abbiano dovuto rinunciare a stipendio e carriera. E chi resiste, di questi tempi, deve vedersela con la crisi scatenata dal Covid, donne e giovani la stanno pagando di più. Ecco che il tasso di occupazione femminile in Italia, già tra i più bassi in Europa, se non si corregge la rotta scenderà ancora: oggi appena una su due lavora e oltre il 32 per cento ha contratti part-time. Un danno enorme, per la crescita e per i conti del welfare pubblico, in dissesto nel Paese con sempre più nonni e sempre meno neonati (solo 1,29 figli a donna, record negativo in Europa).

Le diseguaglianze

La famiglia italiana è squilibrata, fa quasi tutto lei: il 73% del lavoro in casa sulle sue spalle. Aiutare le lavoratrici a conciliare ufficio e pannolini, azienda e scuola è il primo fondamentale passo. Già il 4 aprile del 2019 il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sul work-life balance (conciliazione vita-lavoro) vincolando gli stati membri a introdurre entro il 2022 interventi sul fronte dei congedi. «Negli ultimi anni la contrattazione collettiva, specialmente di secondo livello, ha avuto un importante sviluppo sul versante della conciliazione vita-lavoro», spiega Daniela Fumarola, segretaria confederale Cisl. «L’azione negoziale deve svilupparsi sul terreno del rispetto delle pari opportunità e sul riconoscimento di specifiche leve di welfare. Penso a quanto sia fondamentale promuovere accordi su congedi parentali, ferie solidali e convenzioni con asili nido e dopo-scuola, assistenza familiare. La cultura della contrattazione aziendale sulla conciliazione deve affermarsi come elemento strutturale per favorire misure di flessibilità organizzativa che vedano le donne protagoniste. Anche per questo servono incentivi specifici e defiscalizzazioni». Troppo spesso le donne si trovano davanti a un bivio e devono scegliere: lavoro o famiglia. Tante altre volte si fanno in quattro per portare avanti tutto, ma poi sono le prime a saltare in caso di difficoltà. «Non solo occorre promuovere una maggiore occupazione femminile - aggiunge Fumarola - ma è necessario garantire anche la permanenza e la competizione alla pari delle donne nel mondo del lavoro. Sono loro a pagare il prezzo più alto della precarietà, del lavoro nero, dello sfruttamento, con conseguenze pesanti per tutta la collettività, anche in termini di natalità. Anche per questo continuiamo a sostenere, in materia previdenziale, che va riconosciuto alle donne almeno un anno di contributi per ogni figlio». Cinque i punti proposti dalla sindacalista per far crescere il numero delle lavoratrici: «Il consolidamento dei finanziamenti per incentivare la contrattazione aziendale per la conciliazione, il potenziamento degli incentivi finanziari per aziende e lavoratrici, il rafforzamento dei congedi e della flessibilità dell’organizzazione e degli orari lavorativi, l’aumento della disponibilità dei servizi all’infanzia e infine la valorizzazione del lavoro di cura».

Le strutture

Inutile parlare di conciliazione, sostiene Susanna Camusso, già segretario generale Cgil, «se prima non si affrontano i nodi delle infrastrutture sociali». Il problema numero uno sono i servizi, «quasi inesistenti. L’offerta degli asili nido è ridicola, mentre il sistema di educazione deve partire da zero anni e non da sei. Le strutture sociali sono la chiave di volta senza la quale non può esserci conciliazione. Le risorse vanno spese per dare risposte che durino nel tempo, in servizi e nel contrasto alla precarietà, donne e giovani sono i primi ad essere espulsi dal mercato del lavoro». Cosa si può fare nei luoghi di lavoro per contribuire a distribuire meglio il lavoro di cura? «Si può dedicare una parte di risorse del welfare contrattuale alla condivisione.
Ma il problema è innanzitutto di ordine culturale, è ancora disdicevole per un lavoratore occuparsi dei figli. Quando manifesta questa volontà, spesso riceve un diniego. Per ribaltare questa mentalità occorrono misure choc. La prima: introdurre un congedo di paternità obbligatorio equivalente a quello di maternità. Solo così si possono scardinare gli alibi che hanno portato a questa disparità. La cura è un bene primario, non marginale. Va ripensata la struttura sociale che finora ha sacrificato le donne».

Gli studi

Il futuro è Stem. Più ragazze studieranno scienze, tecnologia, ingegneria e matematica, più aumenterà il numero delle lavoratrici. «La formazione scientifica e tecnologica - spiega Confindustria - rappresenta un’opportunità per l’inserimento delle giovani donne nelle alte professioni». Già negli ultimi anni di scuola bisognerebbe avvicinare le ragazze a queste discipline. I dati Istat più recenti su ricerca e sviluppo hanno mostrato che «l’incremento della componente femminile tra gli addetti alla ricerca e sviluppo è particolarmente elevato nelle imprese (+ 19%) anche se, comunque, la presenza di donne in R&S resta minore rispetto a quella degli uomini». Studi scientifici, ma anche promozione dell’imprenditoria femminile, suggerisce Confindustria. E sul fronte della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, va potenziata l’offerta degli asili nido e delle strutture per anziani. «Tutto questo - aggiunge Confindustria - da realizzare anche mediante il sostegno al welfare aziendale e finanziamenti diretti alla creazione di servizi di cura e custodia per l’infanzia e la non autosufficienza, compresa l’erogazione di voucher. La contrattazione collettiva di categoria e aziendale è da sempre attenta alle necessità di favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro pur sempre contemperando le necessità dei lavoratori con le esigenze tecniche, organizzative e produttive delle imprese».

Smart working

Lo smart working, un aiuto per le lavoratrici? O la condanna a una fatica doppia? «Va regolato - secondo Fumarola - e la regolazione deve essere completamente restituita alla contrattazione. È necessario che sia fondato su autonomia e responsabilizzazione del lavoratore. Bisogna superare la forma ibrida dell’home-working che abbiamo imparato a conoscere nelle settimane del lockdown, che ha costretto donne e uomini a casa, con una sovrapposizione tra lavoro e famiglia che ha elevato in tanti casi il carico di stress». «Una straordinaria occasione per i lavoratori», l’orientamento di Confindustria, «che beneficiano di una “liberazione” del tempo che permette di rendere più agevole la conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro». Qualche regola sì, ma non troppe. «Lo smartworking dovrebbe continuare a poter operare in maniera “flessibile”, secondo le esigenze dei lavoratori e delle imprese, lasciando uno spazio residuale all’eventuale intervento della contrattazione collettiva che dovrebbe limitarsi ad individuare delle linee guida di riferimento e non a dettare una disciplina eccessivamente incisiva e cogente».



LA RELAZIONE
Con le lavoratrici aumenta anche il Pil

L’aumento dell’occupazione femminile contribuirà a un aumento del Pil di oltre mezzo punto l’anno. È la previsione contenuta nella relazione sulle priorità del Recovery Fund messa a punto nei giorni scorsi dalla Commissione Bilancio della Camera. «Proseguendo lungo tendenze» demografiche «simili a quelle registrate negli ultimi dieci anni, l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’allungamento della vita lavorativa possono permettere all’occupazione di contribuire positivamente alla crescita, per oltre mezzo punto all’anno». Per ridurre il divario di genere, suggerisce la relazione, «un’attenzione particolare sarà riservata all’empowerment femminile nonché ad incentivare le capacità imprenditoriali attraverso la costituzione di un Fondo per le micro e piccole imprese femminili».  
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