Escalation. Se c'è una parola che ricorre ultimamente nel vocabolario di Giorgia Meloni è questa. La ripete come un mantra. Bisogna scongiurare "un'escalation" in Medio Oriente, cioè uno scontro diretto fra Israele e l'Iran. E ancora, si deve far di tutto per «evitare un'ulteriore escalation» in Est Europa, nella guerra russa in Ucraina. La premier italiana all'estero forte della presidenza del G7 indossa la divisa da pompiere e mobilita l'Italia per frenare scatti in avanti che allargherebbero i due conflitti al centro dell'agenda internazionale. Ne ha parlato con Joe Biden, fra gli scoppiettii del caminetto dello Studio Ovale. A cui ha confidato una convinzione, pienamente ricambiata dal presidente americano. Immaginare ora un'adesione dell'Ucraina alla Nato sarebbe un errore. Mentre l'offensiva russa mette a dura prova le difese di Kiev al confine Est, è importante «evitare accelerazioni» sulla membership ucraina nell'Alleanza atlantica. Specie con l'ombra di Donald Trump che incombe sulle prossime presidenziali americane.
Ieri dall'Italia è arrivato un nuovo applauso al tycoon. Matteo Salvini si è congratulato con Trump per la vittoria alle primarie repubblicane in Idaho: «Da Bruxelles a Washington: cambiamento in arrivo!». Fredda la Casa Bianca interpellata dall'Ansa: «No comment». Non è la prima volta: il "Capitano" aveva fatto lo stesso dopo l'all-in di Trump in South Carolina. Ma a questo giro il tempismo, mentre Meloni, che sulle elezioni presidenziali si mantiene prudentissima, fa ritorno dalla missione americana con Biden, rende più spinoso il gioco del leghista.
Sull'Ucraina, si diceva, Italia e Usa condividono la cautela. Nella convinzione che garantire a Volodymyr Zelensky l'ingresso nella Nato benché solo in futuro rischierebbe di «degradare la serietà dell'articolo 5» dell'Alleanza. L'ombrello legale del Trattato che prevede la mobilitazione militare di tutti gli alleati, se uno solo di loro viene aggredito. Il rischio, se l'Ucraina dovesse entrare, è di trovarsi di fronte a un bivio. Scatenare una guerra alla prima aggressione di truppe russe contro Kiev. O rendere flessibile l'articolo 5, aprendo però un precedente che può indebolire la deterrenza comune. Due ragioni poi, una politica e una strategica, si celano dietro la comune prudenza dell'asse Roma-Washington. La prima: sia Biden che Meloni non possono permettersi uno scatto in avanti di questo genere. Da un lato il Congresso americano diviso, con 60 miliardi di dollari in aiuti a Kiev bloccati dai veti repubblicani. Dall'altro un centrodestra italiano finora compatto nei voti in Parlamento, ma attraversato da dubbi e malumori sulla linea dura pro-Kiev, specie nella Lega.