Bruno Bugiani dalla moda ai fiori: «Ho fatto sfilare le top su 26mila orchidee»

Bruno Bugiani dalla moda ai fiori: «Ho fatto sfilare le top su 26mila orchidee»
di Anna Franco
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Venerdì 14 Agosto 2020, 09:29
«Naomi Campbell? È fantastica. Alle sfilate voleva sempre che la vestissi io, perché ero l'unico che chiudeva le zip senza farle male». Quando Bruno Bugiani, 59 anni, inizia a sfogliare la memoria, i ricordi scorrono vie come perle di una collana. Sorride al pensiero di un concerto di Elton John solo per lui: «Ero arrivato alla villa di Gianni Versace per uno shooting con Helmut Newton. Arrivai per primo e mi si presentò Elton John in vestaglia, che si mise a suonare al piano». Nato a Taranto, cresciuto a Merano dove la famiglia gestiva due hotel, Bugiani si è poi trasferito a Milano per amore della moda e di un ragazzo. Grazie a una camicia ha lavorato con Gianni Versace, è stato manager di Eros Ramazzotti e da pochi anni ha aperto col suo compagno da 20 anni, Ken Pope, americano, Manifesto Flowers, a Cerro al Lambro, vicino Milano.

La particolarità?
«Il nome ricorda Andy Warhol e la sua Factory, perché volevamo rivoluzionare il sistema e pensare a un flower designer non classico facendo un uso spregiudicato del colore. Ora lavoriamo anche molto con la moda e la nostra musa è Donatella Versace».
Quando vi siete incontrati?
«Dopo due anni che avevamo aperto le inviai una composizione con rose verniciate di nero, col cuore a contrasto. Nemmeno un quarto d'ora e mi chiamò per dirmi che voleva i nostri fiori per casa sua e per la Versace. Ricordo l'allestimento per una haute couture a luglio 2015: 26 mila orchidee Vanda ricoperte da una passerella in vetro sulla quale sfilavano le top. O due anni fa quando per l'uomo riempimmo una macchina sportiva, al centro dello show, sempre di orchidee. Grazie a Donatella ci hanno chiamato in tanti».
Per esempio?
«Abbiamo curato l'allestimento della cena di insediamento di Alessandro Michele da Gucci. Anche Madonna si serve di noi per inviare fiori su Milano: lei adora le peonie».
Come è nato il suo rapporto con Donatella Versace?
«Ero appena arrivato a Milano, era il 1984, ed ero un po' Heidi che viene in città dalle montagne. Ero stagista al teatro alla Scala. Quell'anno Gianni Versace disegnava i costumi per due spettacoli. Notò che indossavo una sua camicia e nacque una fiducia reciproca, tanto che mi chiese di dargli una mano affinché la sartoria mandasse avanti i suoi costumi: gli facevano un po' di ostruzionismo. Poi conobbi Donatella: mi portava a scegliere capi o gioielli per gli shooting. Poi mi invitarono a cena a via del Gesù e lei mi disse che Gianni voleva che lavorassi da loro. Mi ritrovai con una scrivania e con la frase ti occuperai delle collezioni, che era tutto e niente».
In pratica?
«Ufficio redazionale. Mi ritrovai subito su un set fotografico per una campagna. Il fotografo era David Baley e la modella Susie Bick».
Com'era Gianni Versace?
«Un mito. Era pazzesco come drappeggiava i tessuti sui manichini. Sapeva essere molto severo e lo temevi come un bravo professore a scuola».
E Donatella?
«Imprevedibile. Come quando, eravamo a New York, mi disse di prendere subito un jet speciale per andare a Minneapolis, perché Prince l'aveva invitata a un concerto privato. Rigida, molto generosa, era capace di chiamarti dall'altra parte del mondo alle 3 di notte».
Poi l'idillio è finito.
«Era il 2000. Vestivamo molte celebrities agli Oscar. La sera del party di Vanity Fair e di Elton John ci fu una brutta discussione sugli abiti, suoi e dei personaggi che vestivamo. Era un periodo complesso per lei, risentiva ancora della perdita di Gianni, litigammo, non andammo alle feste e io decisi che era arrivato il momento di cambiare».
Come ricorda il giorno dell'assassinio di Versace?
«Il 5 luglio 1997 ero a piazza di Spagna, per la sfilata. Vidi Santo Versace parlare al telefono, chiamò Donatella. Piangevamo tutti, eravamo una famiglia. Lei volò a Miami, sentendosi costantemente con Antonio D'Amico, il compagno di Gianni. Io tornai a Milano. Ero sconvolto».
Poi c'è stato Eros Ramazzotti.
«Avevo firmato per entrare da Trussardi, ma Ramazzotti mi offrì il doppio per fargli da assistente e poi da manager. Gli feci cambiare look: vestiva Armani, ma era troppo da ufficio. Lo portai da Dolce&Gabbana. Poi, George Michael invitò Eros a un suo concerto: nel backstage trovai Donatella. Fu come se non avessimo mai discusso: piangemmo e ci abbracciammo».
Com'è arrivato al flower design?
«Stavo per rinnovare con Ramazzotti. Aveva iniziato a frequentare Marica Pellegrinelli, che aveva 22 anni e poca esperienza, ma tendeva a fargli piazza pulita intorno. Ne pagai anche io le spese. Disoccupato, dopo un periodo sabbatico, decisi che volevo fare qualcosa di mio e con le mie mani».

 
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