Dolce & Gabbana: «L'orgoglio per le radici il nostro segreto. Come ci siamo conosciuti? Colpa di una telefonata»

I due stilisti presentano la mostra “Dal cuore alle mani”, che li vede protagonisti a Milano: «Non cambieremo il modo di lavorare, per noi contano tradizione e futuro»

Dolce & Gabbana: «L'orgoglio per le radici il nostro segreto. Come ci siamo conosciuti? Colpa di una telefonata»
di Paola Pastorini
5 Minuti di Lettura
Venerdì 12 Aprile 2024, 00:23

La moda di Dolce e Gabbana è virtuosismo appassionato. Lo si comprende girando le dieci stanze dell’esposizione “Dal cuore alle mani: Dolce & Gabbana” a Palazzo Reale di Milano fino al 31 luglio. Domenico Dolce, siciliano, 65 anni, e Stefano Gabbana, milanese, 62, hanno riassunto in quelle camere (ognuna con un tema: Barocco, Sicilia, Opera, Sartoriale, Vetro) la loro maestria: abiti, accessori, gioielli, tutti orgogliosamente made in Italy. A festeggiare l’inaugurazione quattrocento ospiti: da Naomi Campbell a Demi Moore, da Cher a Mariacarla Boscono, Bianca Baldi, David Gandy. Tutti ad applaudire una vita di lavoro, che il duo racconta con orgoglio.

Il vostro primo incontro?
Stefano Gabbana: «Nel 1980 a Milano. Avevo studiato design pubblicitario, ma volevo lavorare nella moda, era il mio sogno. Avevo sentito che c’era un posto vacante da Giorgio Correggiari, così ho provato a chiamare».
Domenico Dolce: «Il destino ha voluto che a quella chiamata rispondessi io e quindi abbiamo organizzato un incontro.

Tutto è iniziato così. E poi il grande lavoro, i sacrifici, le lunghe estati passate a lavorare e lavorare, e infine le prime soddisfazioni… non immaginavamo di arrivare fino a qui».

Non vi aspettavate tanto successo internazionale?
SG: «Volevamo solo confezionare bei vestiti, lavorare bene e con amore. Il resto è venuto da sé: tutto quello che ci circonda lo abbiamo fatto con il cuore».

L’esposizione è specchio dei vostri valori. La Sicilia per esempio.
SG: «L’ho scoperta a 18 anni, da allora l’ho girata tutta: è un amore incondizionato. Mi ricordo, una delle prime volte in cui la visitai insieme a Domenico, c’era una donna ammantata di nero su uno sfondo tipico. Mi rivolsi a Domenico e gli dissi: questo è quello che dovremmo fare noi!».
DD: «Così è stato! Quello che abbiamo sempre cercato di fare è esaltare questo territorio, le sue tradizioni, la sua cultura, la sua anima. Le lavorazioni artigianali che hanno fatto grande questa terra sono veri e propri mestieri d’arte che meritano di essere preservati e tramandati alle nuove generazioni. Pensiamo al pizzo, all’uncinetto, ma anche alla lavorazione della ceramica e delle maioliche, ai carretti».

E poi il sartoriale. Cosa significa ben fatto e ben tagliato?
DD: «Sono cresciuto nella sartoria di mio padre, tra tessuti, scampoli e cartamodelli. Ho imparato tutto osservandolo. Ho confezionato il mio primo abito quando ero ancora bambino! La creazione dell’abito è un viaggio emozionante che richiede tempo, pazienza, passione, impegno, scelta del tessuto giusto, fare e disfare per arrivare al capo perfetto».
SG: «La sartoria è anche devozione: passione per il mestiere, studio, ricerca, qualità. La sartoria è alla base del nostro progetto creativo».

Siete molto legati all'opera. Chi di voi due è più appassionato di lirica?
SG: «Siamo entrambi grandi amanti dell’Opera e pensiamo che esista un profondo legame con la moda: entrambe partono dal cuore e arrivano alle mani, trasfigurando l’animo umano e portandolo in scena».
DD: «Il nostro modo di lavorare è orchestrato come un’opera e questa mostra è fatta proprio così: una serie di capitoli, atti armonizzati tra loro. Per questo abbiamo voluto chiudere il nostro percorso con una sala dedicata al teatro, con le creazioni più rappresentative ispirate alla grande tradizione operistica: Turandot, Madama Butterfly, l’Aida, il Barbiere di Siviglia… Verdi, Puccini, Rossini sono da sempre i nostri ispiratori».

La Dolce vita cosa è per voi?
«È sinonimo di italianità autentica: il cinema neorealista in bianco e nero, l’arte, il cibo, la cultura… da sempre ispirano il nostro lavoro».

Esposte ci sono anche opere di artisti che interpretano la vostra creatività. È il preludio al fatto che vi dedicherete di più all'arte contemporanea?
DD: «Non cambieremo il nostro modo di lavorare. Il segreto è nel saper mantenere un costante equilibrio tra innovazione e tradizione e pensiamo che il nostro percorso ne sia dimostrazione. Da sempre raccontiamo il nostro mondo, il nostro DNA, i valori che ci rappresentano, ma con uno sguardo rivolto al futuro. Siamo orgogliosi delle nostre radici, ma siamo coscienti della realtà in cui viviamo».
SG: «Il nostro sogno è ispirare le nuove generazioni, spronarle a esprimere ciò che sentono e dare loro coraggio. Per questo abbiamo voluto coinvolgere anche sei artisti digitali (Felice Limosani, Obvious, Alberto Maria Colombo, Quayola, Vittorio Bonapace e Catelloo) e lasciare loro carta bianca. Interessante ri-scoprire il nostro mondo attraverso un linguaggio nuovo».

Quali muse hanno interpretato il marchio al meglio e a quali siete più affezionati?
«Abbiamo avuto la fortuna di lavorare con donne fantastiche, bellissime ed empatiche. Con molte di loro abbiamo stretto rapporti di profonda amicizia. Pensiamo a Naomi Campbell, Isabella Rossellini, Madonna, Monica Bellucci...È bellissimo e davvero emozionante aver costruito rapporti sinceri con donne che ammiravamo sui giornali e che mai avremmo pensato di chiamare amiche! La nostra è una grande famiglia che continua a crescere e che, oggi, include anche le figlie di queste donne: rappresentano la continuità tra le nostre radici e il futuro».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA