Amotea tra Covid e solidarietà, la designer Diletta Amodei: «In questi momenti bisogna fare la differenza»

Amotea tra Covid e solidarietà, la designer Diletta Amodei: «In questi momenti bisogna fare la differenza»
di Costanza Ignazzi
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Giovedì 2 Luglio 2020, 19:50

«Il settore della moda? Il Covid lo ha divelto». Parola della designer romana Diletta Amodei, mente e braccio del brand Amotea. Ma la speranza resta, e nella fattispecie ha il volto di due fiori intrecciati con la scritta "Hope": una maglia creata in collaborazione con l'illustratrice danese Anna Degnbol, i cui proventi vengono devoluti alla fondazione Sant'Egidio. Un gesto che non ci si sarebbe aspettati da un brand emergente, già messo a dura prova dalla pandemia. 

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«Mi rendevo conto di non avere risorse e volumi per farlo - spiega la designer - però credo che in momenti del genere fare la differenza sia una priorità e una responsabilità. Avevo già collaborato con Sant'Egidio e notavo che durante il lockdown erano in pochi a essersi mossi a favore dell'emergenza sociale». Così, alla comunità di Sant'Egidio sono andati tutti i profitti del sito per il mese di aprile, poi il 25 maggio è partita la vendita delle t shirt, tutt'ora attiva (ma meglio affrettarsi perché ne restano solo una decina).  



Quali difficoltà avete dovuto affrontare come brand emergente a causa del lockdown?
«C'è stata una grande flessione delle vendite ma paradossalmente essendo una startup forse ho avuto meno difficoltà visto che siamo solo online e non abbiamo ancora distribuzione nei negozi. I problemi maggiori comunque li abbiamo avuti con le fabbriche chiuse, dovevamo lavorare al campionario nuovo e abbiamo dovuto fare i fitting su zoom, senza parlare dell'impossibilità di fare tutta una serie di attività di pr già programmate. Tutto questo comporterà uno slittamento in avanti del piano di business».

Amotea, però, va avanti con passione. Perché nasce, appunto, da un sogno che hai fin da piccola.
«Fin da bambina amavo disegnare vestiti, poi mi sono ritrovata a lavorare nell'azienda di famiglia con mio padre, e quando è nato il mio primo figlio mi sono dedicata alla famiglia. Alla fine dei 40 però avevo il desiderio di fare il salto nella moda, così mi sono buttata. È impegnativo, perché la famiglia resta la mia priorità, ma ho avuto tanti feedback positivi in questo primo anno e mezzo». 

La donna Amotea è un tipo ricercato e sensuale. Dove prendi l'ispirazione per i tuoi modelli?
«Innanzitutto da Roma, la mia città, dalla sua architettura all'arte e alla cultura. Mi ispirano le donne aristocratiche del'800, le principesse del passato e quelle di oggi. Faccio molta ricerca nel mondo della couture per quanto riguarda forme e volumi. Lo stile di Amotea è sicuramente sofisticato, ricercato ma non scontato. Diciamo una principessa contemporanea, femminile e romantica ma con un twist grintoso. 

Con pandemia e distanziamento sociale, la moda dovrà cambiare. Tra i designer c'è chi si orienta solo sul virtuale e chi ha deciso di sfilare comunque, ma a porte chiuse. Amotea cosa farà?
«È una stagione molto complicata dal punto di vista del buying, navighiamo un po' a vista ma per quanto ci riguarda il momento dell'incontro tra brand e clienti sarà virtuale. La prossima collezione, infatti, la presenteremo con un nuovo strumento digitale che si chiama Keyblock.

Cosa dobbiamo aspettarci per il settore dopo il 2020?
«Purtroppo molti non ce la faranno, altri si reinventeranno. Per me il futuro sarà fatto di nuove possibilità del digitale e sicuramente cambierà il modo di fare business, mi auguro con meno forma e più sostanza, almeno su questo mi concentrerò in prima persona, senza dimenticare la responsabilità enorme per quanto riguarda la sostenibilità».

E nel futuro di Amotea?
«Spero di espandere il marchio al di là dei confini lavorando sia sulle piattaforme online che in boutique fisiche, ovviamente di un certo tipo. Ma sono positiva perchè vedo che qualcuno mi sta già contattando».

 

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