«Shakespeare, visto dagli americani, era un self-made man», dice Arturo Cattaneo. «Nel nostro libro - interviene Gianluca Fumagalli - non siamo arrivati ad Anonymous, il film del 2011 di Roland Emmerich che racconta la versione cospirativa del Bardo. Qualcuno non può ancora accettare che sia stato un semplice attore, e non un letterato o un nobile, a scrivere le più belle opere teatrali di tutti i tempi. Invece è questo che a Hollywood hanno percepito subito: Shakespeare era uno di loro».
Cattaneo insegna letteratura inglese all'Università cattolica di Milano, mentre Fumagalli è regista e studioso di cinema. Insieme hanno firmato Shakespeare in Hollywood, un saggio che vede il Bardo da una prospettiva nuova. Ovvero, come il drammaturgo di Stratford-upon-Avon sia stato adottato dall'America, quasi alla stregua di uno dei suoi padri fondatori. Emblematico è il caso della Folger Shakespeare Library a Washington, inaugurata nel 1932 da uno dei piú grandi uomini d'affari e finanzieri americani, Henry Clay Folger. Emblematica la scelta del luogo in cui viene edificata: «Non solo all'ombra del Congresso e della sua Biblioteca, ma perfettamente allineata al Monumento a Washington e al Lincoln Memorial».Come è nato il libro
Ma come nasce questo libro? «Abbiamo studiato insieme - raccontano gli autori - eravamo compagni di scuola al liceo Carducci di Milano. Ci siamo persi di vista, poi ci siamo ritrovati e abbiamo deciso di tenere delle analisi dei film shakespeariani alla Cattolica. Per divertimento, ci siamo chiesti, parafrasando J.F. Kennedy, non tanto cosa Hollywood possa fare per Shakespeare, ma cosa Shakespeare possa fare per Hollywood».
In apertura, colpisce la lista di premi Oscar più o meno indirettamente legati alle opere del Bardo: una trentina. Senza contare tutte le nomination. Per Laurence Olivier nel 1946 si dovette ricorrere a un Premio Speciale. «Il teatro popolare di Shakespeare - dice Fumagalli - viene arruolato da Hollywood, che lo ritiene il suo mitico antenato. E questa cosa non viene mai detta apertamente, finché, con Shakespeare in Love, nel 1998, esce allo scoperto».
Proprio con questo film, che apre e chiude il libro, il Bardo si aggiudica sette Oscar, tutti in una volta.
Orson Welles, un genio fuggito da Hollywood
Uno dei migliori film tratti da Shakespeare è certamente Otello di Orson Welles, che però fu girato nel 1952 in Marocco, ad Essaouira, «dopo la rottura del regista con gli studios». Altra sorpresa del libro è Katharine Hepburn, che vince il primo dei suoi quattro Oscar con un film minore, Morning Glory (1933) in cui recita la parte di una provinciale che arriva a New York in cerca di un provino: «Recita To be or not to be, un'interpretazione che dà i brividi, una delle più belle per un monologo pensato per un maschio».
Ma cosa farebbe oggi Shakespeare, se fosse vivo? «Forse - dice Cattaneo - lo troveremmo a Beverly Hills alla guida di una Porsche e sarebbe un autore importante nel campo del cinema, o delle serie tv. Magari uno di quei registi-sceneggiatori che poi diventano anche produttori, alla Cruise, alla Soderbergh, alla Clooney». «O avrebbe invece cercato di fare l'attore?» ipotizza Fumagalli. «Nella vita ha avuto tante soddisfazioni, ma mai quella di essere l'attore protagonista».