«Non l'ho picchiato si è inventato tutto», la difesa dell'imprenditore arrestato

«Non l'ho picchiato si è inventato tutto», la difesa dell'imprenditore arrestato
di Rita Recchia
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Venerdì 22 Maggio 2020, 15:15
La storia del bracciante aggredito e gettato in un canale dal datore di lavoro per aver chiesto una mascherina e i dispositivi di protezione personale ha colpito profondamente il ministro Teresa Bellanova. «È una vicenda gravissima e inaccettabile. Proprio per questo nelle scorse ore ho voluto telefonargli per esprimergli tutta la mia vicinanza, assicurandogli che continuerò a seguire la sua vicenda» ha scritto la titolare delle Politiche Agricole sulla sua pagina Fb.

«Episodi come questo rafforzano ancora di più la mia convinzione che la lotta allo sfruttamento e la sicurezza sui luoghi di lavoro sono temi prioritari per il nostro Paese, soprattutto in questo momento delicato. Da senatrice e da ministro mi sono sempre fermamente battuta per mettere al centro la tutela della salute e della dignità dei lavoratori».
Intanto a Latina, ieri, è stato interrogato dal gip l'imprenditore agricolo finito ai domiciliari. Ha negato sostenendo che il bracciante si è inventato tutto. Nessun licenziamento, nessun pestaggio, nessuna condizione di lavoro o sanitaria fatiscente, né tantomeno il rifiuto di fornire ai propri lavoratori i presidi di sicurezza contro il Covid19: questa la versione fornita al gip Giuseppe Molfese dall'imprenditore terracinese di 52 anni che da lunedì scorso è agli arresti domiciliari con l'accusa, tra le altre, di aver aggredito un suo dipendente, dopo averlo anche licenziato, provocandogli delle lesioni.
«La verità va cercata altrove» assicura l'avvocato Giuseppe Fevola che durante l'interrogatorio ha prodotto tre dichiarazioni testimoniali, rilasciate da altri impiegati dell'azienda agricola, indicando al pm Claudio De Lazzaro e al giudice un'altra ventina di lavoratori che avrebbero assistito ai fatti. Alla luce di tutto ciò l'avvocato Fevola ha presentato istanza di revoca degli arresti domiciliari per il suo assistito, ma il giudice si è riservato.
L'imprenditore arrestato dalla polizia di Terracina ha risposto a tutte le domande del giudice dando una versione dei fatti diametralmente opposta a quella fornita precedentemente dal bracciante, che sarebbe stato regolarmente assunto con contratto a tempo prendendo busta paga il 10 di ogni mese. Domenica 22 marzo, quando l'azienda era chiusa, si sarebbe presentato dal datore di lavoro chiedendo 100 euro e al rifiuto dell'imprenditore, che gli avrebbe detto di tornare l'indomani visto che in quel momento gli uffici erano chiusi, avrebbe iniziato a minacciarlo pesantemente, tanto da spingerlo a chiamare i carabinieri di Terracina, giunti sul posto di lì a poco. Nel frattempo il bracciante se ne era andato, per poi, dopo l'aggressione subita, allertare i carabinieri accusando il datore di lavoro e il figlio (che, invece secondo la difesa, si sarebbe trovato altrove) di averlo picchiato e abbandonato in un canale. «Una ricostruzione impossibile- dice l'avvocato Fevola- visto che a quell'ora i carabinieri erano in azienda con il mio assistito, c'è tanto di verbale redatto dai militari a dimostrarlo».
Per quanto riguarda la questione delle mascherine, il legale mette in evidenza come si tratti di un'azienda certificata che esporta in tutto il mondo e che rispetta i protocolli. «Sono persone sensibili, hanno perfino donato presidi di sicurezza contro il Covid19 all'ospedale di Terracina». Anche il 22enne figlio dell'imprenditore agricolo è stato interrogato e al giudice ha detto di essere arrivato in azienda quando c'erano già i carabinieri che erano stati allertati dal padre, minacciato dal bracciante.
Rita Recchia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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