Era il leader indiscusso del clan, quello al quale "non potevi dire no" che aveva assunto la gestione delle attività criminali nel capoluogo pontino. Ieri mattina la Direzione distrettuale antimafia ha chiesto per Giuseppe Di Silvio detto Romolo una condanna a venti anni di carcere. Il processo si sta celebrando davanti al giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Roma Roberto Saulino con rito abbreviato, quindi con la riduzione di un terzo della pena, su richiesta della difesa e come è già accaduto per le altre 19 persone componenti del clan di Campo Boario condannate, a gennaio scorso, a 160 anni complessivi di reclusione nel processo "Scarface".
La posizione di Romolo era stata stralciata per un problema procedurale e soltanto ieri è arrivata in sede di discussione.
Nell'udienza di ieri il pm Spinelli ha ricostruito l'indagine che, anche grazie alle dichiarazioni di alcuni pentiti, ha consentito di definire le modalità operative del gruppo. Dopo la richiesta di condanna a venti anni la parola è passata ai legali delle parti civili: il Comune di Latina rappresentato dall'avvocato Anna Caterina Egeo, l'associazione "Caponnetto" con l'avvocato Benedetta Manasseri e l'Assocrimine. L'udienza è stata poi aggiornata al 30 maggio prossimo quando la parola passerà al legale dell'imputato, l'avvocato Luca Melegari, prima che il gup entri in camera di consiglio per la sentenza.
Per altri sei imputati che hanno optato per il rito ordinario, è in corso il processo davanti al Tribunale di Latina che ha ascoltato nelle ultime udienze il pentito Renato Pugliese che ha tracciato il profilo criminale di Giuseppe Romolo Di Silvio. La prossima udienza è in programma per l'11 aprile.