Anche a Latina dilaga la protesta dei ristoratori: «Così anneghiamo tutti»

Anche a Latina dilaga la protesta dei ristoratori: «Così anneghiamo tutti»
di Bianca Francavilla
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Giovedì 30 Aprile 2020, 10:14

Con il posticipo della riapertura al primo giugno, i ristoratori rischiano di affogare. A Latina l’allarme a nome della categoria lo ha lanciato Giorgione, il conosciuto titolare dell’omonima osteria di  via Pastrengo. Si è lasciato andare ad uno sfogo su Facebook in cui ha raccontato le difficoltà che sta attraversando chi lavora nel settore. La richiesta è unanime da tutti i ristoratori: permetteteci di non pagare tasse e utenze, almeno nel periodo in cui siamo chiusi.

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«La situazione è tragica – racconta Giorgione - A me va bene restare chiusi e non incassare, ma non continuare a pagare utenze e tasse. Un’attività è come una famiglia: se non c’è possibilità di avere entrate, come fa a fare la spesa, a pagare la luce, il gas, l’acqua, l’affitto?». Per Giorgione, inoltre, non è una soluzione la consegna a domicilio di cibo, né la possibilità di offrire pasti da asporto dal 4 maggio. «Parliamoci chiaro, questo va bene per la pizza, i panini, gli hot-dog. Se porto una cacio e pepe a casa, quando arriva è da lanciare contro il muro. Ci stiamo provando lo stesso, ma non facciamo più di tre consegne al giorno contro i 150 coperti di prima». Sull’ipotesi di non riaprire più, neanche dal primo giugno, Giorgione alza le mani. «Purtroppo non posso, vivo grazie ai sacrifici che faccio tutti i giorni. Con l’osteria ci mangio io e ci mangiano i dipendenti, ma rischiamo di affogare. Non è un discorso politico, chiedo solo che vengano prese in considerazione le richieste di noi ristoratori sani: sospendeteci le tasse e le spese».
La situazione illustrata da Giorgione è condivisa dai colleghi, pronti anche a protestare.

«Oltre a tenerci chiusi imponendoci di pagare affitto, tasse e utenze non ci hanno dato indicazioni su cosa succederà dopo - spiega Gianluca Di Cocco, titolare di Made in Italo sul lungomare di Latina - Chi ha un locale piccolo come potrà permettersi di fare la metà dei coperti? Servirà il plexiglass? Le posate dovranno essere usa e getta? L’aria condizionata si potrà usare? Ci è stato detto che riapriremo, ma non come e quali costi comporta». Il tempo per mettersi in regola, è effettivamente poco. «Potrebbe verificarsi la stessa situazione delle mascherine: il materiale sarà introvabile». Anche Di Cocco sta valutando tutte le opzioni, compresa quella di non riaprire. «Sono pronto a cambiare strategie, ad abbassare i prezzi e a organizzarmi con altri commercianti, magari per dividere le spese dei macchinari di sanificazione. Farò di tutto per aprire, ma valuto anche di passare al solo take away e a licenziare i dipendenti che sono con me da una vita».

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Un’altra voce nel coro viene dal ristorante Satricum. «Per sopravvivenza – racconta Maximiliano Cotilli - ci siamo messi a fare il delivery di cucina asiatica. Le prospettive non sono rosee e tante cose non sono chiare. Se basterà mantenere le distanze possiamo organizzarci. Abbiamo perso molto in termini di fatturato senza possibilità di sfruttare le festività di Pasqua e il periodo di cresime e comunioni. Cercheremo di stare sul pezzo».

Il titolare del ristorante Chinappi di Formia chiarisce che il take away e le consegne a domicilio non sono una soluzione per tutti: «Bisogna ammettere che non c’è la mentalità di ricevere una cena di pesce a casa. Fortunatamente siamo anche una pizzeria e stiamo lavorando con quello. Non abbiamo certezze su cosa dobbiamo fare, è questo che più ci manda in tilt». Concorda anche lui sull’unica soluzione che sarebbe stata utile: l’annullamento delle tasse e delle utenze da decine di migliaia di euro al mese. «A questo si aggiunge che in una eventuale ripartenza avremo le stesse spese, meno clienti, il prezzo dei prodotti cresciuto anche del 100% e saremo costretti ad abbassare i prezzi per vedere qualcuno nel locale. Non sarà più come prima».

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