L'odissea di Malfatti: «Licenziato dallo Zilina per colpa del coronavirus»

L'odissea di Malfatti: «Licenziato dallo Zilina per colpa del coronavirus»
di Romolo Buffoni
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Lunedì 6 Aprile 2020, 07:30
«Sto preparando le valigie, ma parliamo pure». Del resto non è un bagaglio che sta facendo volentieri. Attila Malfatti, fino al 25 marzo allenatore dello Zilina in Slovacchia, stamattina è partito destinazione Roma. A Bratislava è salito su un pullman organizzato dall’ambasciata italiana per i rimpatri. «Il 26 marzo mi è stata portata a mano a casa la lettera di licenziamento firmata dal presidente “per giusta causa”, ovvero per lo stop al campionato. Umanamente ci sono rimasto male, col presidente c’eravamo sentiti fino al 23 per telefono, gli avevo fatto gli auguri per il suo compleanno e non mi aveva accennato niente». E tre giorni prima, il 20, Attila aveva compiuto 48 anni. Un bel regalo non c’è che dire. Mentre il resto d’Europa cerca un via d’uscita per contenere i danni anche attraverso i tagli di stipendio, il patron dello Zilina (anche se lì si parla al massimo di migliaia di euro, non certo di milioni) ha tagliato la testa al toro: «Ovviamente sarei stato disposto ad aiutare il club, a rivedere i compensi. Pure i miei calciatori erano ben disposti, invece ho saputo che gli ha ordinato una decurtazione netta degli ingaggi e a chi ha detto di no credo lo abbia licenziato. Peccato, avevo una bella squadra». Perché da gennaio Malfatti da tecnico in seconda era diventato il vero e proprio allenatore dello Zilina, condotto ai playoff grazie a 10 punti in 4 partite e conseguente secondo posto. «Ricorrerò al Tas. Lo devo alla mia famiglia e ai sacrifici che ha fatto mentre io allenavo qui e sono rimasto qui per attaccamento e professionalità. E anche a mio padre rimasto a Viareggio da solo chiuso in casa con la badante».

ROMANO E ROMANISTA
L’accento di Malfatti è toscano, ma il cuore è romano. E romanista. «Sono di piazza San Cosimato, Trastevere. A 6 anni mi sono dovuto trasferire con mio padre ma il cuore è rimasto a Roma ed è giallorosso». Con quei colori addosso Attila ha vinto uno scudetto, l’ultimo dell’era Viola. Quello con la Primavera 1989/90 e, chi ne ha memoria, ricorda il talento cristallino del trequartista Malfatti: «Eravamo una squadra fortissima. C’erano Muzzi, Maini, Berretta, Statuto, il capitano Anastasi, Petruzzi. Siamo rimasti amici e quando possiamo ci incontriamo. Ricordo come fosse ieri la premiazione, con Viola che ci dà la medaglia. E anche la prima squadra, quella della stagione al Flaminio causa Olimpico in ristrutturazione per i mondiali Italia ‘90, era gagliarda. C’erano Bruno Conti, Giuseppe (Giannini, ndr), Cervone, Voeller, Manfredonia, Nela, Berthold». Da Viareggio alla Roma lo riportò Giuseppe Luciano Lupi, all’epoca responsabile del settore giovanile giallorosso: «Mi notò in Interregionale (oggi serie D, ndr), avevo solo 15 anni ma ero titolare». Dopo la Roma, Malfatti giocò in C a Trani, poi Spezia e Carrarese. «Ho avuto la mia onesta carriera. Quella serie C era tosta. Allo Spezia trovai Faccini, tanto per dire, uno che ha vinto lo scudetto con la Roma di Falcao», firmando il primo gol di quella stagione d’oro 82/83. Poi lo stop a 31 anni e l’inizio, nel 2003, di una carriera da allenatore consumata quasi tutta alla Juventus: «Ci sono rimasto 14 anni facendo tutte le categorie fino agli Allievi nazionali», quindi l’esperienza come vice di Massimo Carrera in Russia, allo Spartak Mosca e l’approdo allo Zilina dove di fatto è diventato allenatore in prima: «Devo fare il supercorso a Coverciano. Chissà quando si potrà ormai». Modulo preferito? «Quello che serve ai giocatori che ho. Conte mi disse: “importante è l’intensità e scegliere i migliori 11, poi viene il modulo”. In Slovacchia fanno tutti il 4-3-3, io ho proposto il 3-5-2 visto che avevo 4 difensori centrali fortissimi». Stasera, sul tardi, il rientro in Italia: «Dormirò in albergo (sarà l’unico cliente, ndr) e poi, con una macchina presa a noleggio, partirò per Torino con le mie autocertificazioni in triplice copia al seguito. A casa dovrò stare in quarantena di due settimane, isolato da mia moglie e dai miei due figlio di 12 e 10 anni. Il più piccolo, Leo, è milanista come la mamma. Tiago, invece, è capitano della under 12 della Juventus, ma è romanista. Come me». 
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