Alessandro, uno degli ultrà arrestati
«In cella a Varsavia trattati come animali»

Alessandro, uno degli ultrà arrestati «In cella a Varsavia trattati come animali»
di Veronica Cursi
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Domenica 1 Dicembre 2013, 10:46 - Ultimo aggiornamento: 12:37

Siamo stati trattati come animali. Umiliati e derisi come dei delinquenti. La polizia ci ha fermato perch cantavamo per strada. Ce la siamo cavata con una multa di 50 euro per quella che loro chiamano un’infrazione, altrimenti ci saremmo fatti 30 giorni di carcere». Alessandro Vinci, 21 anni, è uno dei tifosi laziali - su 149 fermati giovedì prima di Legia-Lazio di Europa League - rilasciati venerdì a Varsavia dalla polizia.

CACCIA AGLI ULTRÀ

La sua odissea è cominciata giovedì. E ancora oggi ne parla sotto shock. Era arrivato a Varsavia in trasferta per vedere la Lazio in compagnia di alcuni amici e aveva raggiunto i suoi genitori arrivati il giorno prima, anche loro tifosissimi biancocelesti. Ma mai avrebbe immaginato cosa gli sarebbe accaduto: «Una vera e propria caccia agli ultrà. Senza motivo», denuncia. «Erano le quattro del pomeriggio - racconta Alessandro - e dopo esserci incontrati all’Hard Rock, ci siamo mossi tutti insieme, saremo stati più di 200, per andare allo stadio. Abbiamo cominciato a intonare cori, come succede sempre quando andiamo in trasferta.

Nessuno di noi era a volto coperto, avevamo sciarpe e cappelli per il freddo, certo, ma niente caschi o armi di nessun tipo. Dopo pochi minuti, non so cosa sia successo, siamo stati circondati dalla polizia polacca che ha cominciato a disperderci in diversi punti della città, ci hanno portato in un vicolo, fermati, perquisiti.

AL FREDDO SENZA CIBO

All’inizio ci hanno detto che ci avrebbero accompagnato allo stadio, invece siamo stati ingannati, spogliati, tenuti in strada per ore e poi portati in commissariato». Tafferugli? Lanci di sassi? «Non è successo assolutamente nulla. Ci hanno fermato per disturbo della quiete pubblica». E lì, in commissariato, è cominciata una nottata di inferno.

«Non ci hanno ammanettati, ma ci hanno fatto le foto segnaletiche, come dei criminali. Dopo vari accertamenti, siamo stati portati in cella. Eravamo in 15 in due metri quadrati, ammassati come bestie, al freddo, senza bere né mangiare per ore». Alessandro stenta ancora a credere quello che ha vissuto. Nelle sue parole c’è rabbia e frustrazione. «E’ una vergogna - si sfoga - quei poliziotti hanno cominciato a prenderci in giro, italiani merde, ripetevano e ogni tanto qualcuno passava, ci guardava e rideva».

ORE DA INCUBO

L'ambasciata italiana? «Ci ha lasciato soli, abbiamo cominciato a chiamare i funzionari dell’ambasciata dalle quattro del pomeriggio, non si è visto nessuno. Siamo stati abbandonati a noi stessi. Ho fatto decine di trasferte nella mia vita, ma mai mi era successa una cosa del genere». Per Alessandro, adesso, la brutta avventura è finita. Ma quelle 24 ore di incubo a Varsavia le ricorderà per tutta la vita. «Mi hanno costretto a dire che sono colpevole - sottolinea - così me la sono cavata con una multa di 50 euro, altrimenti rischiavo 30 giorni di carcere. Quello che è successo è gravissimo. Una vergogna».

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