L'identikit/ I requisiti chiave di un arbitro con molti poteri

di Alessandro Campi
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Mercoledì 14 Gennaio 2015, 22:47 - Ultimo aggiornamento: 15 Gennaio, 00:16

Il presidente come dovrebbe essere, secondo i desiderata e le speranze di ognuno, non è il presidente come sarà. Di mezzo c’è la politica, con i suoi equilibri instabili e le sue complesse alchimie. Di mezzo ci sono le manovre, dentro e fuori del Parlamento, dei partiti, perennemente in bilico fra intransigenza e compromesso, alla ricerca chi del maggior vantaggio, chi del minor danno. Di mezzo c’è soprattutto Matteo Renzi, protagonista sin troppo solitario di questa convulsa stagione politica, che certo un’idea se l’è già fatta (e in parte l’ha anche resa pubblica) del futuro inquilino del Colle.
Ma un profilo ideale del prossimo capo dello Stato, tra analisi politica e gioco di società, si può comunque tracciare. Partendo da quello che è forse il tratto che più dovrebbe distinguerlo, banale ma indispensabile: l’autorevolezza. Tale dovrebbe apparire anche a chi, per scelta politica, non lo voterà. Ma tale dovrebbe risultare, da subito, anche agli occhi dei cittadini, che di riferimenti simbolico-istituzionali in quest’Italia ne hanno ormai sempre meno, a meno di non volersi rivolgere in massa oltretevere.

L’autorevolezza, dalla quale discendono il rispetto e la pubblica considerazione, è difficile da definire: è un misto di esperienza, capacità professionale, biografia politica, sensibilità istituzionale e carattere personale. È qualcosa che già si possiede, che non si acquisisce d’improvviso. Il prossimo presidente si vorrebbe inoltre che fosse capace di stabilire un dialogo diretto e costruttivo con un’opinione pubblica che della politica e delle istituzioni sembra non avere più alcuna considerazione. Napolitano ha denunciato l’antipolitica alla stregua di un pericolo per la democrazia. Il suo successore dovrebbe puntare a rimuoverla - magari anche proveniendo dalle fila della società civile - come umore collettivo ristabilendo tra Palazzo e Popolo un rapporto fiduciario. Ciò non vuol dire che costui debba essere per forza un tipo simpatico, accattivante e ciarliero, un novello Pertini.

Si può anche essere seri e riservati ma in grado comunque di suscitare quel rispetto tra i cittadini che gran parte della classe politica ha perso in questi anni, a furia di scandali e promesse inevase.
Non sarebbe male che il nuovo capo dello Stato fosse anche una personalità di relazioni internazionali, conosciuto e stimato nelle cancellerie. O in grado, grazie alla novità e freschezza, di attrarre le simpatie e il rispetto. L’Italia si trova attualmente alle prese con una complicata congiuntura economica, destinata a non finire troppo rapidamente. Ha una classe di governo giovane e un capo del medesimo volitivo che si è affermato nel segno del rinnovamento generazionale, ma appunto sono entrambi ancora una novità da consolidare nei consessi internazionali. Sarebbe dunque utile un Capo dello Stato, già garante dell’unità verso l’interno, che fosse anche garante della nostra affidabilità verso l’esterno, nell’attesa di completare e rendere operative le molte riforme che sono state annunciate e di riprenderci così quel rango internazionale che come Paese ci spetta.

Si sa già, con la legge elettorale che si annuncia, che il Capo dello Stato perderà alcune sue antiche prerogative, come la scelta dell’uomo cui affidare la formazione del governo dopo le elezioni. Ma che si possa per questa ragione ridurre la sua figura a quella di un notaio o di un cerimoniere, come qualcuno auspica giocando al ribasso, è un’idea sbagliata: Costituzione alla mano, che continua ad assegnargli comunque non pochi spazi di discrezionalità, e considerato lo stato febbricitante del nostro sistema politico, che non ha ancora raggiunto un suo punto di equilibrio e stabilità.
Se pure non sia interventista per vocazione (come purtroppo fu Scalfaro), il futuro capo dello Stato potrebbe esserlo per necessità (come è capitato con Napolitano), visto che la transizione dalla Seconda alla Terza Repubblica si annuncia tutt’altro che breve e facile nei suoi passaggi.

Insomma, colui che prenderà il posto di Napolitano per sette anni necessita della stima della maggioranza assoluta dei cittadini, a prescindere da quale schieramento politico o esperienze civili provenga; in grado di restituire la politica alla sua nobiltà, dopo il discredito che l’ha colpita; conoscitore profondo delle leggi; rispettoso della volontà popolare e della dialettica parlamentare ma anche in grado di farsi sentire nel caso le forze politiche, come è capitato in questi anni, dovessero nuovamente incartarsi o mostrarsi non all’altezza dei problemi che hanno dinnanzi.

Tutto ciò porterebbe ad escludere, nell’individuazione di chi dovrà occupare un ruolo tanto delicato, operazioni d’immagine o colpi di teatro, giusto per dire che si cambia verso anche dalle parti del Quirinale. Non serve una sorpresa all’Italia che potrebbe poi rivelarsi amara. Serve invece una scelta ponderata e responsabile che innovi. E che è bene sia il frutto di un accordo parlamentare, visto che stiamo parlando del Presidente di tutti gli italiani, ma come è noto ci sono, accanto a quelli cattivi e frettolosi, anche i compromessi utili e vantaggiosi.