Colori e sapori d'India: una settimana di
navigazione sul Gange

Incontri lungo il Gange
di Marta Ghelma
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Lunedì 30 Dicembre 2013, 14:20 - Ultimo aggiornamento: 7 Gennaio, 01:14
Non esiste fiume al mondo pi sacro del Gange, la grande madre che, dalle vette dell'Himalaya al Golfo del Bengala, percorre oltre 2.500 chilometri. Nei miei precedenti viaggi in India l'avevo osservato scorrere dai ghat, le scalinate che scendono a pelo dell'acqua, di Haridwar e Varanasi, ma l'occasione di navigarlo era troppo ghiotta per lasciarla scappare. Tra le differenti opzioni di crociera proposte dai Viaggi dell'Elefante (tel. 06.60513000, www.viaggidellelefante.it) scelgo la discesa di una settimana che, da Semaria a Calcutta, copre una distanza complessiva di 713 chilometri, navigando sui tre fiumi Gange, Bhagirathi e Hooghly. Il periodo di navigazione della Bengal Ganga è compreso dal 1° ottobre alla metà di aprile.



M'imbarco a Semaria, un piccolo villaggio a sei ore di strada da Bodhgaya, quando il sole è ormai un pallido ricordo del giorno. La nave Bengal Ganga è un sogno coloniale fatto di teak e ottone, silenzio e sorrisi cordiali, con un ampio sundeck da cui ammirare lo scorrere del fiume. La mia cabina, un'accogliente alcova con bagno privato e aria condizionata, è un riuscito mix di stile british e dettagli orientaleggianti. Al risveglio, baciata da un'alba leggera, raggiungo il risciò che, inerpicandosi sulla collina, mi conduce alla Swami Niranjanananda, la scuola di yoga più importante del Bihar. Tolgo le scarpe, respiro a fondo, ripasso alcuni asana, le posizioni utilizzate nello Hatha Yoga, per poi tornare sui miei passi e gustare il pollo tandoori preparato dal simpatico chef di bordo. Una piacevole sonnolenza accompagna la navigazione verso Sultanganj, tra i profili di moschee, stupa e templi Hindu, interrotta dagli emozionanti balzi di alcuni delfini.



Dopo una notte senza stelle, la nave attracca nei pressi di Bateshwar Sthan, per lasciare il posto alla jeep. Tra coltivazioni di lenticchie e canna da zucchero, raggiungo le rovine di Vikramshila, la più importante «università» buddista dell'India che, nel periodo compreso tra l'VIII° e il IX° secolo d.c., ospitava oltre mille studenti. La pace di questo luogo, sopravvissuta all'incuria dei secoli, mi contagia, così come il vento che, muovendo le foglie, ripete il suo mantra. La sera, cullata dalla Bengal Ganga, mi siedo sul ponte di fronte alla cabina e lascio semplicemente gli occhi liberi di guardare. Lungo gli argini, i bambini salutano e i ragazzi ballano attorno ai tuk-tuk trasformati in discoteche ambulanti, finché le luci si spengono mettendo il punto al giorno. L'indomani, la meta è Rajmahal, l'antica capitale del Bengala che precede l'arrivo allo sbarramento di Farakka, costruito per regolare le acque del Gange in Bangladesh e in India. Questo passaggio, unito all'attraversamento della chiusa che dalla vasta piana gangetica mi traghetta sul fiume Bhagirathi, è uno dei momenti più eccitanti della crociera. Non solo perché mi diverte «sprofondare» sott'acqua, per poi risalire sopra il livello del fiume, ma soprattutto perché, dove il Gange lascia il posto al suo affluente, posso vedere la terraferma più da vicino.



All'alba del quarto giorno, oltrepassati i templi in terracotta di Baranaga, sbarco a Murishdabad per salire a «bordo» del Tonga, il tipico e traballante carretto locale trainato dai cavalli. Più che i fasti coloniali dell'abbacinante Hazarduari Palace, in questa città sviluppata intorno alla moschea di Katra, sono le strade polverose e affollate d'umanità e bancarelle a rapirmi fino all'arrivo della sera. La notte, stringendo tra le mani una tazza chai, il tipico tè miscelato con latte e spezie, m'addormento ripensando a quella folla di sari, così eleganti e colorati da sembrare una tavolozza in movimento. Le tappe successive mi trasportano a Mayapur, l'importante quartier generale degli Hare Krishna posto alla confluenza tra i fiumi Gange e Jalangi, per poi catapultarmi nella selva di templi di Kalna. L'ombra di Shiva, una delle più venerate deità del panteon indiano, guida i miei passi in questo vero e proprio labirinto di simbologie a lui interamente dedicato. Ormai in odore di Calcutta, l'imbarcazione lascia il corso del Bhagirathi per procedere la sua lenta navigazione sul fiume Hooghly.



L'ultima cena a bordo, condita dai saluti all'impeccabile staff e dalle prime luci della città all'orizzonte, è un omaggio alla migliore cucina del Subcontinente. Tra i miei piatti preferiti, non mi lascio sfuggire il masala dosa, la mega crêpe con farina di lenticchie tipica del Sud, il chicken tikka, un must a Mumbai, e i gulab jamun, la versione indiana dei nostri babà. Alle 23.30, la campanella della Bengal Ganga annuncia che stiamo per superare il leggendario Howrah Bridge, più che un ponte l'emblema stesso di Calcutta, attraversato ogni giorno da milioni di persone. La mia base per scoprire «La città della gioia», come la ribattezzò lo scrittore francese Dominique Lapierre, è l'Hotel Taj Bengal (www.tajhotels.com), un lusso che mi concedo prima d'immergermi nella terza città indiana. Ma questa è un'altra storia...
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