Aggressione a un imprenditore di Pontecorvo, giovane condannato a 12 anni

Aggressione a un imprenditore di Pontecorvo, giovane condannato a 12 anni
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Mercoledì 19 Gennaio 2022, 08:08 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 00:08

Rapina, sequestro di persona e tentato omicidio: condannato a 12 anni di reclusione. È la sentenza pronunciata ieri dal Tribunale di Cassino nei confronti di un nigeriano di 25 anni che, nell’autunno 2020, aggredì l’imprenditore pontecorvese Mario Capogrossi. Il collegio penale presieduto dal giudice Tavolieri è andato ben oltre i nove anni chiesti dalla Procura. Oltre ai 12 anni di reclusione l’extracomunitario è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, sarà espulso dal territorio nazionale a fine pena e dovrà dare 100 mila euro alla vittima come provvisionale. Il pubblico ministero, dottor Ricci, nel corso della requisitoria ha parlato di “piena conferma del quadro accusatorio iniziale” nell’ambito del processo. «La vittima - ha spiegato il pm – è stata aggredita con inaudita ferocia».

La parte civile, con l’avvocato Attilio Turchetta nel chiedere la condanna per l’imputato ha evidenziato che «per quel che concerne la ricostruzione di quanto avvenuto non c’è alcuna ombra di dubbio». «Lo stesso imputato in quest’aula – ha aggiunto l’avvocato Turchetta – ha ammesso le proprie responsabilità e chiesto scusa».

Ma la parte civile si è soffermata sul dramma umano e professionale che la vittima vive dal giorno della rapina. «Il mio assistito – ha detto l’avvocato Turchetta - era un imprenditore edile e all’età di 60 anni è completamente inabile al lavoro. Attualmente Mario Capogrossi non può stare in piedi più di cinque minuti, non può mangiare da solo e guidare l’auto. Ha perso qualsiasi funzioni del proprio corpo. Questo a causa dell’attacco forsennato subito dall’imputato». La difesa dell’uomo ha puntato sul cosiddetto dolo d’impeto. «Ciò - ha riferito nell’arringa l’avvocato difensore - non può essere considerato come un dolo omicidiario. L’imputato non ha utilizzato oggetti, ma si è limitato ad utilizzare i pugni per esplicitare il dolo d’impeto». Per questo la difesa ha chiesto la derubricazione da tentato omicidio a lesioni gravi.


I FATTI
Il fatto si è verificato il 20 novembre 2020, quando l’imprenditore chiese all’uomo di lasciare la casa dove lo aveva ospitato. Ma la risposta fu un’aggressione a calci e pugni, fino a ridurlo in fin di vita e rubargli quello che aveva nelle tasche. Chiuse a doppia mandata il cancello e spezzò la chiave all’interno della serratura. A raccontare il dramma, nel corso del processo, era stato l’imprenditore, affermando: «A quel ragazzo ho offerto prima qualche piccolo lavoretto, ma era in difficoltà e l’ho ospitato anche nella nostra casa di campagna». Poi aggiunse: «Gli ho detto che poteva stare lì 3-4 giorni. Qualche giorno dopo sono andato nell’abitazione e lui era ancora lì, a quel punto gli ho detto che avrei chiamato i carabinieri, ma non appena ho tirato fuori il telefono è scattata l’aggressione. Calci e pugni, poi non ricordo più nulla. Sono svenuto». Le motivazioni della sentenza arriveranno nelle prossime settimane.

Vi. Ca.

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