Francesco Grillo
Francesco Grillo

Le scelte sull’ambiente che non sono più rinviabili

di Francesco Grillo
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Lunedì 4 Luglio 2022, 00:04

Una delle più avanzate tecnologie che l’Impero romano lasciò a quello che non era ancora l’Occidente, fu la sua straordinaria capacità di trattare l’acqua con acquedotti, terme, cloache che risolsero alcuni dei più gravi problemi di un mondo nato dal mare e dai fiumi; dopo duemila anni, quest’estate, i romani rischiano di essere tra i primi a sperimentare il razionamento di una risorsa che avevamo immaginato infinita. Ed è quest’idea di inesauribilità che – assieme al cambiamento climatico – sta creando i presupposti per la più paradossale delle molte crisi alle quali il governo italiano è chiamato a dare una risposta in questi giorni: la crisi di una società mai così tecnologicamente evoluta e che, però, rischia di ritrovarsi senza il più primario dei beni.

La siccità che è all’origine della tragedia della Marmolada e che sta prosciugando laghi come quelli di Bracciano è accelerata da tre potenti forze che entrano in gioco in molti dei problemi che stiamo affrontando: la reazione della natura rispetto al comportamento dell’uomo; una lungimiranza dei governi molto inferiore a quella degli imperatori che inventarono sistemi idrici che ancora usiamo; meccanismi di mercato che non riescono più a garantire quell’efficienza che ne legittimava l’esistenza. Innanzitutto, l’acqua finisce per effetto della forbice che progressivamente porta in disequilibrio società caratterizzate da crescite di popolazione e consumi a fronte di risorse limitate: ed è limitata l’acqua potabile – nonostante la nostra percezione – che è quasi per intero contenuta in siti sotterranei.

Tale processo è accelerato dal cambiamento climatico che, dopo essere stato spesso annunciato nei giornali, ci sta piombando addosso in questi giorni torridi: nel Lazio, nei primi sei mesi dell’anno, le piogge si sono ridotte del 63% rispetto alle medie. In secondo luogo, una riduzione di investimenti pubblici che risulta particolarmente miope se consideriamo che la manutenzione della rete costa meno delle riparazioni che l’assenza di cura rende più frequenti. E molto di meno del costo di produzione di acqua che viene letteralmente persa: per l’Autorità di Regolazione per Energia, Rete e Ambiente (Arera), in Italia siamo al 44% del totale che equivale a dire che buttiamo via circa 3,5 miliardi di metri cubi di acqua e circa 3 miliardi che servono per produrla. Infine, quello dell’acqua è un settore produttivo nel quale il mercato funziona poco e male, con pesanti effetti sull’innovazione di una rete che, pure, fu opera di ingegneria di alto livello quando fu concepita a metà dell’Ottocento. In Israele, la necessità di utilizzare con efficienza l’acqua in un Paese occupato per metà dai deserti, sta facendo differenziare le reti secondo l’utilizzo che dell’acqua si fa: quella potabile, quella per la doccia, quella per gli scarichi arrivano in casa attraverso reti diverse, alle quali corrispondono prodotti, possibilità di riciclo e prezzi diversi.

E, invece, paghiamo lo stesso sia per l’acqua da bere che quella per innaffiare il giardino; circa 1 euro per un metro cubo (1000 litri) che è un prezzo (quanto una tazzina di caffè) che non segnala affatto quanto l’acqua sia un bene drammaticamente scarso; ancora più paradossale è, del resto, il fatto che molti preferiscono acqua minerale che costa mille volte di più, non ci arriva comodamente al rubinetto e di cui va smaltita una bottiglia.

Il risultato finale è un autentico paradosso: la società che sta approdando all’intelligenza artificiale, è costretta a considerare la possibilità di ritrovarsi senza la sostanza nella quale nasce la vita e la civiltà. E la cui mancanza può far saltare tutto il resto: dall’agricoltura alla pace, visto che la mancanza della materia prima di cui è fatto il nostro corpo porta centinaia di milioni di poveri a scontrarsi (dallo Yemen alla Somalia) e a fuggire dalla sete. Una strategia comporta rovesciare i tre problemi in opportunità. Il Piano Nazionale che il governo italiano dedica a migliorare la resilienza alle crisi della società italiana, prevede di spendere 4,4 miliardi di euro (il 2% del totale) per rinnovare la rete idrica. Sarebbe molto utile dimostrare che un euro speso in più in manutenzione, genera molto di più in risparmi futuri.

Un’impostazione di questo genere trasformerebbe le risorse del PNRR (non solo nel caso dell’investimento in reti) in un volano capace di attrarre molti più investimenti privati in cerca di ritorni interessanti. In secondo luogo, la produzione e la distribuzione andrebbero affidate a soggetti privati che devono assicurare determinati standard (superando le contraddizioni di un referendum controproducente): in questo contesto lo stesso prezzo potrebbe essere differenziato incentivando fortissimamente il risparmio (facendo pagare zero fino a determinati volumi e molto di più a livelli di consumi maggiori). Infine, vanno organizzate e realizzate per città strategie che puntino alla neutralità climatica: è questa un’iniziativa della commissione europea che appare, tuttavia, ancora fatta di molte parole e pochi progetti concreti. Ad Esfahan, una delle antiche capitali della Persia, le “mille e una notte” sono tante piccole favole che le famiglie iraniane si raccontano incontrandosi sugli argini e i ponti di un grande fiume che si chiama Zayandeh. Ciò che rende questa città affascinante davvero unica è che il fiume non c’è più: è evaporato per effetto di scelte sbagliate da parte di un governo che dice di voler rispettare la volontà di un Dio. Quel luogo è un monito a ciò che può succedere a tutti noi se – posseduti da un delirio di onnipotenza - dimenticassimo che persino l’acqua è un bene che condividiamo con i nostri figli. 

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