Francesco Grillo
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Riforma elettorale/ Le elezioni e la regola del gioco stabile

di Francesco Grillo
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Lunedì 29 Agosto 2022, 00:02

La più brutta campagna elettorale di sempre. Figlia della peggiore legge elettorale della storia repubblicana. È difficile trovare un punto sul quale tutti i Partiti sono d’accordo. Il paradosso, tuttavia, è che pochissimo si parla della riforma di quella legge, in programmi elettorali che pure si occupano di tutto. E, invece, è fondamentale che i cittadini siano coinvolti in un dibattito che viene, in un certo senso, prima di tutti gli altri: una democrazia che perde, infatti, la sua capacità di rinnovare le proprie classi dirigenti, diventa ovviamente incapace di risolvere problemi sempre più grandi.

Il giudizio più negativo sulla legge elettorale con la quale andremo a votare tra meno di un mese viene dal segretario del Partito Democratico ed è paradossale perché fu il Pd a promuoverla nel 2017. In quell’anno, la stessa Giorgia Meloni ebbe, però, parole di fuoco nei confronti di una legge contro la quale votò, ammonendo che essa avrebbe prodotto una “democrazia finta”. E, tuttavia, il dubbio più autorevole sulla legittimità del meccanismo con la quale andremo a votare, si ha nel leggere la sentenza con la quale la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale la legge precedente (conosciuta come Porcellum) con la quale fummo capaci di eleggere tre Parlamenti tra il 2006 e il 2013: la legge attuale replica un meccanismo di “liste bloccate” (anche se più brevi) che costituiva il vizio formale e sostanziale più grosso della legge precedente.
Quello delle “liste bloccate” è, in effetti, qualcosa in più di un “vulnus” (come dicono i costituzionalisti) per una democrazia già ferita: esso costituisce il riflesso condizionato di un sistema politico che rispetto ad una rivoluzione tecnologica che sta facendo emergere – con forza caotica – nuove forme di partecipazione e, soprattutto, nuove forme di potere, decide di chiudersi. È evidente, però, che si tratta del tentativo di chi “compra tempo” ad una rendita: la società sta, comunque, trovando nuovi modi per far emergere nuove élite, con l’aggravante che così le istituzioni della democrazia rischiano di essere disintermediate.

Il dibattito sulla legge elettorale e quello parallelo sulle riforme costituzionali sconta, in realtà, un equivoco: la convinzione strisciante è, infatti, che esista una scelta da fare tra rappresentatività di una democrazia e sua efficienza. Il caso italiano dimostra, invece, che se un’istituzione non riflette la conoscenza dei problemi concreti, essa non è più neppure capace di trovare soluzioni e si abbandona al compromesso. Al blocco delle liste, la legge elettorale attuale aggiunge la necessità di fare coalizioni innaturali (per vincere i collegi uninominali e perché, anche nella parte proporzionale, gli “sbarramenti” sono più alti per liste isolate), aumenta il peso dei partiti minori (i voti degli elettori che indicano solo il candidato all’uninominale si dividono tra tutte le liste). 

Minima rappresentatività e minima governabilità: è questo il fallimento della cosiddetta seconda Repubblica la cui nascita si fa risalire proprio ad un referendum sulla legge elettorale (quello sulle preferenze del 1991) ed è da una legge elettorale concepita in maniera diversa che si riparte. Anche se una nuova legge va collegata ad una più complessa riforma istituzionale, un metodo per trovare una soluzione può articolarsi in tre punti.
Innanzitutto, la legge elettorale deve essere concepita come regola del gioco stabile (nel Regno Unito e negli Stati Uniti utilizzano lo stesso metodo da più di un secolo) all’inizio della prossima legislatura. Aprire una discussione sulle regole della competizione pochi mesi prima della sua fine, equivale a voler stabilire chi ha vinto un campionato di calcio alla fine del campionato stesso. Un’operazione che è, contemporaneamente, scorretta e difficile perché richiede la convergenza sullo stesso testo di partiti politici che hanno diverse possibilità di vittoria. Può essere, peraltro, utile dare alla nuova legge, rango costituzionale: si corregge solo se tutti i concorrenti sono d’accordo.
In secondo luogo, la prossima legge deve essere fatta in maniera da aumentare la durata dei governi per realizzare le riforme (come quelle del Pnrr).

La componente maggioritaria – due terzi dei seggi erano uninominali – della legge elettorale che porta il nome dell’attuale Presidente della Repubblica (il Mattarellum) produsse i governi più longevi della storia repubblicana (come indicato dal grafico che accompagna questo articolo). Il legame con il territorio potrebbe, poi, essere rafforzato dal doppio turno e dal divieto di candidarsi in più collegi. 

Infine, è necessario, evitare che la politica diventi corporazione, aumentando la possibilità che nuovi concorrenti – intesi come individui o nuovi movimenti – emergano e che il sistema si apra a innovazioni che le tecnologie che stanno già cambiando tutto da rivedere. La mancata utilizzazione di sistemi che certificano l’identità digitale dei cittadini (Spid) ai fini della raccolta delle firme è assolutamente incomprensibile.
Vale per le leggi elettorali italiane una curiosa maledizione: tutte quelle che hanno governato le elezioni politiche della seconda Repubblica, furono concordate da maggioranze che furono sconfitte alle elezioni immediatamente successive. Nel 2017, l’attuale Rosatellum fu approvato da tutti tranne che dal Movimento Cinque Stelle che vinse l’anno successivo e da Fratelli d’Italia che potrebbe farlo tra un mese; nel 2006 la legge di Calderoli fu concepita dal Centro Destra battuto, poi, da Romano Prodi; la legge di Mattarella del 1993 fu l’ultimo atto di Democrazia Cristiana e Partito Socialista prima della vittoria di Berlusconi. Persino, la “legge truffa” del 1953 vide sconfitta la Democrazia Cristiana che cercò di forzare la mano. Evidentemente con il fuoco della democrazia non conviene giocare. È molto meglio dedicare i prossimi mesi della prossima legislatura a curare una malattia che rischia di segnare la fine anche di chi ha cercato di trarne profitto con calcoli di brevissimo periodo.

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