Francesco Grillo
Francesco Grillo

Dietro la crisi/Il ritardo sulle riforme e la richiesta di stabilità

di Francesco Grillo
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Martedì 19 Luglio 2022, 00:23 - Ultimo aggiornamento: 20 Luglio, 00:20

Diciotto virgola due per cento. Se qualcuno volesse trovare un’evidenza sufficientemente potente per dimostrare per quale motivo l’Italia e l’Europa hanno assoluto bisogno di continuità, potrebbe essere sufficiente consultare il sito del ministero dell’Economia: abbiamo finora raggiunto il 18,2 % dei 527 risultati intermedi che la Commissione Europea e il Governo italiano hanno deciso di utilizzare per verificare l’avanzamento del Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza (Pnrr). 


Molto inferiore è, però, la percentuale dei 200 miliardi del Piano che è effettivamente riuscita ad atterrare sull’economia italiana: meno dell’1% ed era nelle previsioni logiche di un progetto di cui vanno costruiti i presupposti amministrativi prima di procedere con gli investimenti. 
L’Italia vale un terzo dell’operazione Next Generation EU (NGEU) con la quale l’Unione Europea sta tentando di diventare finalmente abbastanza unita per rispondere a crisi sempre più veloci; tuttavia per non perdere la scommessa abbiamo bisogno di un governo competente e sufficientemente continuo almeno per tutta la prossima legislatura. 


Il NGEU è l’ultimo tentativo di salvare un’idea di Europa che le dimissioni irrevocabili di Mario Draghi rischiano di far naufragare definitivamente.

Se si elaborano le informazioni contenute nella relazione al Parlamento del presidente del Consiglio sull’attuazione del Pnrr e i dossier di monitoraggio del Senato e della Camera, si conferma che nell’attuazione del Pnrr siamo ai tempi preliminari della partita più importante (mentre siamo, nella migliore delle ipotesi, a quelli “supplementari”, come ipotizza il ministro Giorgetti, della legislatura che ha impostato il lavoro). 
Al 30 giugno del 2022 erano stati conseguiti 96 dei 527 “obiettivi” e “traguardi” che l’Italia ha promesso di raggiungere entro il 30 giugno 2026: siamo al 18,2%. E, tuttavia, lo stato di avanzamento si riduce ancora se ci concentriamo sui soli “obiettivi” (la Commissione Europea li definisce “target”) che misurano la realizzazione del risultato che un determinato investimento si proponeva (ad esempio chilometri di alta velocità resi realmente disponibili): solo 3 dei 96 risultati che abbiamo finora raggiunto sono relativi ad investimenti effettivamente realizzati. 


Ad oggi, gli unici investimenti riguardano l’assunzione a tempo determinato degli esperti entrati per realizzare il piano da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica; il personale amministrativo che supporterà i tribunali e il rifinanziamento della legge che fornisce incentivi per l’internazionalizzazione delle imprese attraverso il ministero degli Esteri: molto meno dell’1% delle risorse che dobbiamo spendere nei prossimi quattro anni. Come era previsto dai cronoprogrammi iniziali, quasi tutte le tappe che finora il governo italiano ha raggiunto sono relative alla creazione delle condizioni amministrative e regolamentari che il Pnrr esige (appunto i “traguardi” o “milestones”), mentre più del 99% del “tesoro” Pnrr deve ancora raggiungere le imprese e le famiglie italiane. 


Ciò significa che tra poco la palla dal governo, che è responsabile dei “traguardi” - e delle fondamentali riforme –, passerà alle stazioni appaltanti che dovranno spendere in meno di quattro anni 196 miliardi di euro (senza considerare, peraltro, ulteriori risorse supplementari nazionali ed europee). Una notizia estremamente buona ma, anche, fortemente preoccupante considerando che la PA italiana riusciva – fino al 2019 - a gestire non più di 15 miliardi di euro di investimento all’anno (più di tre volte meno di ciò che il Pnrr chiede perentoriamente).
Sono questi i dati che dicono che – tecnicamente – una sfida quasi impossibile come quella proposta dal Pnrr si vince non solo evitando, con una crisi di governo, di far registrare un fallimento clamoroso sulla tabella di marcia che ci costringe a centrare altri 55 adempimenti previsti per il secondo semestre del 2022. Ma attrezzandoci per uno sforzo straordinario che chiunque vinca le prossime elezioni dovrà garantire nei primi tre anni e mezzo di una legislatura decisiva. 
Uno sforzo straordinario reso ancora più impegnativo da un’altra circostanza: il Pnrr e, in generale, il programma di investimenti predisposto dall’Unione (Next Generation EU) dovrà essere presto rivisto.

Per quello che era un errore di impostazione originario (dovuto probabilmente alla fretta di dover trovare un accordo), quei programmi dopo solo un anno appaiono il riflesso di un’epoca e di un contesto già sorpassato. 


Un anno fa il tasso di inflazione era al 2% (che è il livello che la Banca Centrale deve mantenere), oggi siamo quasi al 9%; un anno fa nessuno aveva previsto una guerra nel cuore dell’Europa e, neppure, una fortissima accelerazione della necessità di uscire dalla dipendenza tossica dal gas russo. Quanto prima va avviata una valutazione di ciò che il Next Generation EU sta conseguendo e probabilmente una reinterpretazione di regolamenti fissati nel febbraio del 2021. Operazione questa ancora più essenziale se volessimo che l’idea di una capacità fiscale dell’Unione (e la possibilità che sia l’Unione a fare debito comune) diventi permanente.
Occorrerà grande pragmatismo per attuare un Pnrr che è, insieme, enorme opportunità e grande sfida. Ma anche idee e autorevolezze per guidare una stagione di riforme che per l’Unione è questione di sopravvivenza. Questo governo deve rimanere in carica per evitare un fallimento precoce di quella che era l’ultima speranza di una generazione; ma è necessario che dalla prossima primavera ne prosegua il lavoro un governo con competenze altrettanto elevate e con la visione per poter immaginare un futuro che riguarda una generazione diversa. L’alternativa è l’esplosione di una crisi che uscirà velocemente dal controllo persino da chi dovesse avere la tentazione di innescarla.


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