Paolo Pombeni
​Paolo Pombeni

Oltre Cracovia/ L’appello del Colle che guarda all’Europa

di ​Paolo Pombeni
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Venerdì 21 Aprile 2023, 00:16

Il discorso del presidente Mattarella all’università di Cracovia va preso molto sul serio, perché non si tratta del “normale” per quanto nobile pronunciamento di un europeista convinto che sostiene la sua causa. Questa volta è qualcosa di più e visto il momento in cui è stato pronunciato chiede una condivisione non di maniera.
Il Capo dello Stato ha messo davanti ai popoli europei, ma, ovviamente, in particolare a noi italiani due temi: la ormai difficile sostenibilità di un’Europa confederale, “delle nazioni” (è per tanti aspetti preistoria) e la sfida di fronte alla quale l’Unione Europea è posta dalla furia bellicista di Putin (che rischia di avere più adepti di quanto si potrebbe supporre). Lo fa, e questo è un aspetto che è stato poco sottolineato, quando ormai siamo ad un anno dalle elezioni per il parlamento della Ue e stiamo entrando nella campagna elettorale per questa scadenza.


Ciò contiene un invito implicito, ma evidente, a fare dei problemi che ha messo sul tavolo un tema centrale del confronto nelle urne per cui saranno convocati i cittadini europei e dunque innanzitutto quelli del nostro Paese. Proprio perché veniamo richiamati a difendere e promuovere la nostra “democrazia” contro le autocrazie di vario genere che vorrebbero svilirla, proprio perché siamo incitati a difendere quel tipo di civiltà conquistata nei secoli che i vari dittatori irridono, abbiamo bisogno che la scelta per quei valori e per le istituzioni che sono chiamate a dar loro vita sia consacrata da una ampia legittimazione popolare.

È questa sovranità popolare di matrice costituzionale che deve sconfiggere i sovranismi di coloro che la cercano in quelle forme che autodefiniscono di “democrazia illiberale”, autentica contraddizione in termini.
L’appello suona particolarmente forte in Italia dove c’è troppa attesa delle elezioni europee come uno strumento per regolare i conti politici fra i partiti e i movimenti politici, semplicemente perché si tratta di una competizione regolata da un sistema proporzionale e con una soglia di sbarramento ragionevole (il 4%) per essere ammessi a concorrere al riparto dei seggi. Si tratta di un meccanismo che si pensa possa funzionare come una specie di sondaggio certificato per valutare come andranno le prossime elezioni politiche (sebbene i precedenti non accreditino questa lettura), ma soprattutto come si distribuiscono i consensi fra le componenti della attuale maggioranza e della attuale opposizione.


Fare di questo anomalo sondaggio delle future intenzioni di voto il fulcro delle strategie elettorali dei partiti diventerebbe una trappola molto pericolosa. Prima di tutto perché spingerebbe le forze in competizione a spingere sulla radicalizzazione delle loro posizioni in politica interna nella convinzione che così si possano raccogliere più consensi (e sorvoliamo sul rischio di distribuire mancette ad hoc …): non dimentichiamo che è sempre più difficile portare gli elettori alle urne e che lo è ancora di più in una competizione che riguarda una istituzione che non è esattamente fra le più coinvolgenti a livello di opinione pubblica.

In secondo luogo perché oscurerebbe il difficile tornante storico che il prossimo parlamento europeo sarà chiamato a gestire, che è esattamente quello che con limpida analisi ha presentato a Cracovia il presidente Mattarella.


Sarebbe difficile per esempio fare pressione per una Unione Europea capace di agire come una forza unificatrice delle risorse di cui dispongono le varie nazioni se si arriverà ad un parlamento fortemente condizionato dalle diverse demagogie, che non sono solo quelle del “prima i nostri” di ogni componente, ma altrettanto quelle che vogliono imporre come esigenze generali le peculiari convinzioni di minoranze organizzate. Esempi di azioni legate all’uno e all’altro genere ne abbiamo già visti troppi nella legislatura europea che va a concludersi e non hanno giovato a promuovere quella Europa solidale e legittimata da un vasto consenso popolare che dobbiamo auspicare.


La sfida che ci è posta davanti dal rinascere degli imperialismi espansivi da parte dei sistemi illiberali è cosa seria, relativamente nuova rispetto agli andamenti della storia così come si era andata configurando dal 1945, quando quantomeno a parole quasi nessuno aveva la spudoratezza di irridere apertamente alle norme del diritto internazionale o di proporre rinnovate fantasie sul tramonto della civiltà occidentale. Per partecipare da parte italiana alla risposta che sperabilmente la Ue dovrà dare a questa sfida c’è bisogno di coesione nazionale sui grandi principi e valori (declinati in modo da unire, e non da servire come strumento per erigere steccati che tengano fuori componenti della cittadinanza). Servirebbe anche perché i nostri eletti agiscano nel parlamento di Bruxelles/Strasburgo come parte del lavoro comune di costruzione della nuova Europa delle solidarietà (umane, politiche, anche di difesa contro chi vorrebbe piegarci), anziché disperdersi nella ricerca di bandiere e/o bandierine ideologiche dietro cui schierarci.


Mattarella, esercitando appieno il ruolo insito nella sua carica di interprete dei destini storici e della volontà profonda della vicenda da cui veniamo, non ha fatto davvero a Cracovia un discorso di routine per quanto alta e appropriata. Ha dato voce a grandi interrogativi che pone il momento che stiamo vivendo. Il richiamo fatto alla famosa domanda, che non era retorica quando fu posta, ma che lo è diventata per come andarono le cose, la quale si interrogava se valesse la pena di morire per Danzica (l’obiettivo di rottura da parte nazista di una sistemazione territoriale voluta da un trattato di pace), è anche più della chiave di lettura di quel discorso.
 

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