Alexandro Maria Tirelli *

Intercettazioni, con la riforma più rigore e giustizia

di Alexandro Maria Tirelli *
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Domenica 3 Dicembre 2023, 00:14

La lotta alla criminalità è un principio irrinunciabile per ogni Stato di diritto e per il nostro Paese in particolare, che ha pagato in termini di vite umane un tributo pesantissimo alla follia stragista della mafia. Ma questo sacrosanto pilastro di civiltà non può diventare il refugium peccatorum di tutte le distorsioni e di tutti gli abusi del sistema giustizia. Soprattutto per quel che riguarda le intercettazioni, mezzo di ricerca della prova diventato sempre più spesso uno strumento di lotta politica e di regolamento di conti.

Per anni abbiamo assistito a promesse vane di riforma delle captazioni che sono diventate, esse stesse, motivo di scontro ideologico. Con l’arrivo del ministro Carlo Nordio, un ex magistrato con grandi doti investigative, sembra sia giunto il momento di trovare un punto d’intesa tra le esigenze di giustizia e il sacrosanto diritto del cittadino (indagato o meno) a non finire nel tritacarne mediatico-giudiziario.

Il recente progetto di riforma ha portato a perseguire due obiettivi importantissimi che certamente tacitano l’accusa di un allentamento della tensione investigativa nel contrasto al malaffare: da un lato c’è stata l’estensione dell’uso delle intercettazioni per alcune tipologie di reati particolarmente gravi, con la creazione di un archivio centralizzato dove conservarle; e dall’altro c’è stato finalmente il divieto di trascrizione di quelle cosiddette «irrilevanti». Ovvero quelle parti che non hanno valore indiziante o che sono completamente fuori contesto. Sembra una banalità ma è una battaglia di civiltà che porta finalmente un argine allo strapotere dei pubblici ministeri e della polizia giudiziaria che, per rimpolpare e rendere più attraente una indagine, spesso ricorrevano a «trucchetti» mediatici che garantivano una certa pubblicità.

I cronisti, giustamente, leggendo queste intercettazioni in atti ufficiali, avevano tutto il diritto-dovere di pubblicarle (anche se poi bisognerebbe addentrarsi nel campo minato della «notiziabilità») contribuendo così a un circolo vizioso per cui i processi si facevano prima in edicola e poi in tribunale, dove spesso gli esiti erano assai diversi dalle spettacolari indagini preliminari.

E stiamo parlando non di elementi probatori di interesse, ma di fatti che vengono trascritti e trasfusi in informative e brogliacci nonostante siano del tutto ininfluenti ai fini del procedimento penale. In nome di una fumosa «obbligatorietà di trascrizione», tutto quello che viene captato finisce in un documento potenzialmente pubblico e, come tale, pubblicabile. Ma troppe volte si sono viste esistenze e reputazioni distrutte per la voglia di spettacolarizzazione di una inchiesta. Troppe volte è stata sacrificata la dignità della persona per il desiderio di pubblicità di qualcuno.

La riforma, in questo senso, ristabilisce un senso di giustizia, di doveroso rispetto della privacy che non significa impunità. Il garantismo non è imbrigliare le Procure ma essere aderenti a ciò che dice la nostra Carta fondamentale. Di fatto, è stato dato seguito a ciò che già nel lontano 1973 la Corte costituzionale aveva stabilito sottolineando la necessità di predisporre un sistema a garanzia di tutte le parti in causa per l’eliminazione del materiale non pertinente per il giudizio. Ma anche il Csm, nel luglio del 2016 aveva ribadito il dovere del pubblico ministero, titolare delle indagini, di compiere da filtro nella selezione delle intercettazioni inutilizzabili e irrilevanti per evitarne l’ingiustificata diffusione.
Il «sistema» ha fatto finta di non accorgersene ma, ormai, non se ne poteva più. Abbiamo dovuto aspettare altri 7 anni ma, a quanto pare, ci siamo.


* Presidente delle Camere penali internazionali

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