Sandokan, dal carcere le istruzioni alla famiglia: «Vi ho arato la terra». I messaggi in codice nelle intercettazioni

Prestanome e sponsor dei Casalesi tremano per le rivelazioni che ora potrebbe fare il boss

Sandokan, dalla cella le istruzioni alla famiglia: «Vi ho arato la terra». I messaggi in codice nelle intercettazioni
di Leandro Del Gaudio
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Sabato 30 Marzo 2024, 21:59 - Ultimo aggiornamento: 1 Aprile, 16:13

Suggestioni messianiche su tempeste in arrivo, riferimenti biblici, codici massonici (a proposito di Vaticano o piazza San Pietro), spunti patriarcali, mimica esasperata. C’è tutto questo nei colloqui di Francesco Sandokan Schiavone, a leggere (e ascoltare) le intercettazioni più recenti. Un mondo di mezze frasi e parole solo accennate, di segni e significati che emergono da dialoghi sincopati, monchi, interrotti e ripresi a salti, in maniera studiata e solo apparentemente illogica. Per anni al 41 bis, Francesco Schiavone ha usato un linguaggio che gli ha consentito di ricevere informazioni e imporre strategie, nel corso dei colloqui mensili con moglie e figli. Frasi ermetiche, nella consapevolezza delle telecamere e dei microfoni accesi dalla Dda di Napoli.

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LE FRASI

Gran parte dei colloqui degli ultimi anni sono finiti agli atti del processo che si sta celebrando a Santa Maria Capua Vetere, quello in cui Sandokan non è imputato ma è logico pensare che farà il suo debutto da boss pentito.

Tocca ora al padrino decifrare se stesso: parole, simboli e tic che hanno scandito quei colloqui messi a disposizione delle parti nel corso degli anni. Quanto basta a far tremare prestanome che hanno vissuto una vita all’ombra delle indagini, al riparo da blitz e arresti, coltivando un patrimonio di origine oscura, garantendo entrate alla dynasty casalese. La terra e il cibo ritornano spesso nelle conversazioni dell’ex padrino detenuto: «Ho arato la terra, è per lui che la terra è stata arata», dice a una delle figlie nel 2016, riferendosi probabilmente a Nicola Schiavone manager e padrino di cresima del figlio di Sandokan (il pentito Nicola Schiavone junior), imprenditore imputato in relazione alla gestione di alcuni subappalti. Possibile che, nel corso del colloquio, il boss abbia chiesto alla figlia di pretendere gli interessi dall’amico di infanzia poi cresciuto professionalmente tra Napoli e Roma. Sempre a leggere le carte di questo fascicolo, l’altra metafora da decifrare è quella di Giuseppina Nappa, la moglie di Sandokan da tempo lontana da Casal di Principe: «Mio marito ci ha messo il lievito madre», afferma riferendosi ai capitali occulti investiti all’inizio degli anni Novanta, quando Sandokan inizia a diversificare le proprie attività.

 

E a chissà a quali altri settori fa riferimento quando, parlando con i suoi più stretti congiunti, chiede di “Zio Pipino”, giusto per capire «come si sta comportando». Una sorta di metalinguaggio il suo, che gli consente di parlare in chiaro di cose ordinarie, salvo poi intercalare frasi del tipo «sto in galera anche per lui», ma anche «vedi che è la mia cassaforte», riferendosi a chissà quale imprenditore. Ed è sempre dialogando con la figlia, in uno dei colloqui mensili, che Francesco Schiavone sembra accentuare il suo modello patriarcale, a proposito del ruolo della donna nella società e nella famiglia: «Non devi andare tu a prendere le tute, tu sei donna, fai andare i tuoi fratelli», in relazione a un non meglio identificato abbigliamento sportivo con i colori del Napoli. Materiale raccolto dai pm Antonello Ardituro (oggi alla Dna) e Graziella Arlomede, che torna attuale alla luce della collaborazione dell’ex boss.

I FILONI

Passato dal carcere di Parma a quello dell’Aquila, fingendosi malato di tumore, il padrino ha dato inizio così ai 180 giorni del suo verbale illustrativo. Si parte dalla trama dei prestanome, nel campo delle grandi partecipate, degli appalti per i trasporti e per il movimento terra, ma anche dai finanziamenti per i rifiuti e per il caseario. Sono decine i prestanome a tremare in questo momento. Sotto i riflettori gli accordi presi all’inizio degli anni Novanta con i vertici della Nuova famiglia, tra cui Alfieri e Galasso, ma anche con i Moccia (al netto dell’assoluzione di Luigi Moccia in appello), per costruire un asse affaristico che collega Napoli, Caserta e Roma. Già, Roma. È qui che si concentrano indagini su faccendieri e uomini in divisa che avrebbero garantito coperture alla mafia casalese: quella che si è arricchita di voti, grazie ad assunzioni pilotate, in una triangolazione tra clan, imprese e politica sui cui è logico pensare che arrivino verifiche a stretto giro. Circa seicento affiliati ruoterebbero attorno alle casse del clan, sono una dozzina gli uomini d’oro che in questi anni hanno curato gli interessi di famiglia. Un clan che rischiava di riorganizzarsi in grande stile alla luce della prossima scarcerazione di Emanuele Libero, prevista entro luglio. Possibile che l’ex boss casalese abbia fiutato il rischio di nuovi colpi di coda criminali da parte del figlio, dopo la decisione di Nicola di collaborare con la giustizia (e la determinazione di Walter di seguirlo in località protetta, fornendo alla Dda solo alcune ammissioni), anche in relazione allo stato di uomo libero dell’altro maschio Ivanhoe. Un orizzonte che ha spinto il boss a giocare di anticipo e a parlare con i pm: questa volta in chiaro, senza usare frasi in codice, senza allusioni o rimandi suggestivi, ma mettendo nero su bianco i nomi dei grandi sponsor della mafia casalese.

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