Luca Diotallevi
Luca Diotallevi

Valori da difendere/ Le cause della crisi delle società aperte

di Luca Diotallevi
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Venerdì 1 Luglio 2022, 00:11

Quando in democrazia si parla di maggioranza, quasi istintivamente si pensa al 51%: al 51% che serve per governare indipendentemente dal modello o dal livello. Serve il 51% dei voti degli elettori per fare il presidente in democrazie presidenziali, serve il 51% dei voti dei parlamentari per dare la fiducia al governo nelle democrazie parlamentari. Chiamiamola “maggioranza del 51”. Per decenni, in quasi tutte le democrazie reali  ad ogni elezione si produceva la “maggioranza del 51”. Le forme di governo e le leggi elettorali potevano più o meno aiutare, ma alla fine un 51% usciva fuori. In questi ultimi anni abbiamo dovuto fare i conti con qualcosa di strano cui eravamo impreparati: è diventato sempre più difficile ottenere dalle urne la “maggioranza del 51”.

Da ultimo, domenica scorsa in Francia dal voto non è uscito alcun 51%; nel 2018 in Italia dalle urne non era uscito alcun 51% e alla fine si era formato il più improbabile dei governi (la alleanza tra estremi opposti del Conte I). Se la cosa ci sorprende, è perché ci siamo dimenticati che la democrazia per funzionare ha bisogno della presenza non di una maggioranza, ma di due maggioranze. Ogni democrazia, per funzionare, ha anche bisogno che la larga maggioranza (anche se non necessariamente la totalità) di coloro che sono chiamati a votare (elettori o parlamentari a seconda dei casi) condivida i valori della democrazia ed il sostegno alle sue istituzioni. Non a parole, ma davvero, sino al punto di accettare la vittoria del proprio avversario politico nella ferma convinzione che il mantenimento delle regole democratiche è ancora più importante del vittoria della “mia parte” (l’esempio di Trump rappresenta il concetto). Questo secondo tipo di maggioranza possiamo chiamarlo “maggioranza dell’85”.

Nel primo quarto del XXI secolo, mentre si affastellavano crisi economica, ambientale, sanitaria, e mentre i regimi illiberali scatenavano guerre a ripetizione, le democrazie si sono dovute rendere conto dell’errore fatto concentrandosi per decenni solo sulla “maggioranza del 51” e trascurando la questione della “maggioranza dell’85”. Tra “maggioranza del 51” e “maggioranza dell’85” non si può e non si deve scegliere. Entrambe sono necessarie. La prima non si mantiene a lungo senza la seconda; la seconda senza la prima è inutile e si riduce a vuota retorica.

Se una società si frantuma, nessun governo regge. Se la democrazia cessa di essere competizione tra alternative per l’esercizio del governo, il contesto sociale degenera e la democrazia ha i giorni contati. Di fronte alla crisi delle società aperte la accanita propaganda dei leader dei regimi antidemocratici, Russia e Cina in testa, sostiene e fomenta chi nelle democrazie della crisi attribuisce la colpa alla cultura della libertà ed in particolare al mercato e al pluralismo.

Al contrario, mercato e pluralismo sono potenti fattori di comunicazione, cooperazione e coesione sociale. È un po’ meno probabile che io faccia la guerra a qualcuno da cui compro e a cui vendo; è difficile che io neghi a te una libertà che è anche la mia libertà. La propaganda antidemocratica ed antiliberale va respinta con fermezza, come va respinto il modello delle società chiuse. Per farlo con successo, però, dobbiamo essere consapevoli delle ragioni profonde della crisi in cui siamo ed in cui sono le nostre democrazie. Mercato e pluralismo, ai quali non si può e non si deve rinunciare, non stanno su da soli: danno molto, ma anche chiedono molto. Come tutte le istituzioni delle società aperte sono frutto di combinazioni sociali improbabili e non possono essere mai date come definitivamente acquisite.

Mercato e pluralismo non stanno in piedi soli: hanno bisogno della vitalità e del rinnovamento di alcuni valori e di alcune tradizioni (anche religiose), hanno bisogno di più cultura e di più educazione, hanno bisogno di meno assistenzialismo e di più opportunità di lavoro e salari più alti, hanno bisogno di più libertà d’espressione (altro che “cancel culture”) e di maggiore esercizio di una critica documentata, hanno bisogno di maggiore autonomia del diritto dallo Stato. Mercato e pluralismo non reggono quando le diseguaglianze di condizioni superano una certa soglia e quando la mobilità sociale rallenta troppo. Altrimenti? Altrimenti la “maggioranza dell’85” si dissolve del tutto, la “maggioranza del 51” non si forma e le toppe non tengono. Non potrà tenere a lungo il quasi ottuagenario Biden, ben poco potrà fare un Macron senza maggioranza, non potrà tenere a lungo un Draghi “sceso dal cielo”. © RIPRODUZIONE RISERVAT

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